Schermo nero. Poi, chitarra spezzettata. Poi, ritmica che ti trasforma gli arti in pistoni; poi, the problem of leisure: what to do for pleasure. Ecco la storia di una ragazza, della regina di Francia che, tra sorelle morte, noia e sesso saffico, perse la testa per la modernità. Questa storia semplice per tanti versi, trasformata nella cronaca della ricerca del piacere, della giovinezza, in questa naturalezza che non esiste più o che non è più qui. Come a dire: fornication make you happy, no escape from society.
E lo dico: mentre i miei arti si trasformavano in pistoni, la mia testa andava dritta, sulle rotaie costruite da quel punto esclamativo di Jon King, perché i punti esclamativi sono gli unici che mi parlano o che riesco a sentire.
La naturalezza non è qui o almeno non nel passaggio repentino del potere, direbbe Kant. Forse nel dispotismo illuminato, ma solo forse. Forse nell'educazione. Oppure - per dirla alla Burke - pentitevi e ringraziate Dio per la naturalezza che potrete trovare nella prossima vita, quella celeste, perché in questa vita, post-rivoluzionaria, democratica o presunta tale, del libero non dir nulla, di naturalezza non ne troverete.
Insomma, 1979 o 1789 non cambia nulla: i punti esclamativi, quelli che si spremono a vivere, reazionari lo sono sempre stati; perché è scontato: il progresso è sempre una forma di egoismo. E da sempre. Meglio la naturalezza, zero sovrastrutture, tutto dritto e poi BOOM.

E va da se che la musica dei Gang of Four - reazionari per scelta dall'alto, ma anche per capacità proprie, gruppo che va oltre il semplice significante musicale - va ascoltata isolandola da quello che la naturalezza rifiuta.
Le Peel Session sono sempre state una cosa bella, una via di mezzo tra l'artificiosità curata di un disco e la rudezza alcolica di un concerto. E allora non c'è modo migliore d'ascoltarli che con la grancassa che punge e il basso che sferracchia, nel suo esser tondo, all'inverosimile.

The Peel Sessions Album, stampato nel 1990 per conto della Strange Fruit
, fu registrato in tre sedute, riproposte, sul disco, come naturalezza richiede, in rigoroso ordine cronologico. Le prime due avvennero nel 1979, a disco non ancora uscito, e snocciolano 8/13 di quello che sarà Entertainment!. Il suono è vivo, pulsa.

Apre "I Found That Essence Rare" e ci ritrova nelle orecchie un gruppo affiatato e affilato, che sembra camminare, con gioia, sulla lama di un rasoio. "5.45" è qualcosa di estraniante, come dei Joy Division che se ne fottono di consegnarsi alla bellezza e si lasciano andare alla cronaca e le chitarre, le chittarre - Andy Gill era una persona vicina a Dio - e poi arriva, arriva il punto in cui King urla. Guerrilla War Struggle is a New Entertainment. Poi, STOP.
Poi "Natural's Not in It" - la mia preferita; una, tra tutte, delle mie preferite - e quindi silenzio. "Not Great Men" è, più o meno, il punto di partenza e di arrivo di tutta la new-new wave che fino a qualche mese fa imperava e che nessuno, ora, sembra ricordare; come degli A Certain Ratio demoniaci. La sessione ritmica di "Ether" danza su quello che rimane del mondo distrutto dai proclami di Jon King ed è un bel danzare, non c'è che dire.

Nel 1981, a Solid Gold uscito, tornarono negli studi di John Peel per suonare "Paralysed", con il basso che buca, dritto per dritto, i muri di casa. La chitarra si fa ancora più secca ed aspra - come la personalità di Gill imponeva - ed è semplice percepire da dove giunga il chitarreggiare di Albini... Every man is for himself.
Registrano "History's Bunk", dove le chitarre di fanno synth, e "To Hell With Poverty" - goduriosa e pensante -, entrambe, poi, presenti nell'Ep del 1982, Another Day/Another Dollar.

Come a dire: uno scorcio di naturalezza poco prima di perderla del tutto.

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