Avete presente il jazz degli anni settanta? Tanta roba vero. Praticamente tutto fino al non ritorno del free. Ebbene questo non ritorno é stato interpretato in maniera singolare dalla scuola inglese, mi riferisco agli improvvisatori come Derek Bailey, Evan Parker, Tony Oxley, e molti altri, nell´ambito della Incus Records e dintorni.

Ma questo é solo un riferimento, una coordinata. Il nocciolo della questione sono i singoli musicisti, iconoclasti e svincolati da tutto.

Adesso immaginatevi minatori. Bisogna scavare intere discografie, districarsi fra mattonazzi, setacciare milioni di note gettate al mondo per trovare qualche lapislazzulo, saltare da una caverna ad un altra in labirintiche collaborazioni, e chissá forse prima o poi qualche pietra preziosa la si incontra.

E la pietra preziosa che piú prediligo nasce dalla sedimentazione tra elemenenti differenti od opposti, come puó essere una semplicitá della fruizione condita da elementi sorprendenti o inusuali o il gioco come approccio creativo con la serietá concettuale o estetica.

Ed eccoci a questo strano disco dell´84, che peró col jazz non c´azzecca.

Ci troverete; un singolo col ritornello che ti si pianta nei meandri, dub e odore di caraibi, suoni di cose che non sono strumenti, un paio di assoli di Lol Coxhill, arrangiamenti scarni, percussioni ai minimi termini, lounge.

Mi vengono inesorabilmente in mente i Residents. Che peró non ascolto mai, ed allora meglio citare The Flying Lizards, vista la firma di David Toop (che a pure una cattedra di cultura del suono e improvvisazione, ma pensa te!) e lo zampino finale in studio di David Cunningham. L´altro é Steve Beresford, conosciuto ai tempi della Avant di Zorn.

Perdonatemi ma non ho piú nulla da dire. É cavalcando l´onda dell´ entusiasmo che sempre solca i primi ascolti che ho trovato lo stimolo sempre piú flebile del parlare di musica.

Axé.

Carico i commenti... con calma