Edie Sedgwick si è guadagnata un biopic tutto suo, nonostante la sua notorietà si basi unicamente sull'essere stata una meteora nell'universo di Warhol e (forse) di Bob Dylan. Eppure, Factory Girl è un film che, se non altro, ha il merito di ricordarci che la celebrità effimera non è un fenomeno nato con i social media. Criticato forse ingiustamente, il film propone senza troppa convinzione la teoria che Edie fosse un'artista incompresa, soffocata dal debordante ego di Warhol, che dopo averla spremuta come musa e attrice, l’abbandonò per gelosia. Sostituita con altre superstar della Factory – altre meteore destinate a consumarsi nell’inevitabile quarto d'ora warholiano – Edie finisce per incarnare un buon esempio di tragica icona pop usa e getta.
Il film merita almeno una visione, se non altro per l'ottima interpretazione di Sienna Miller, che riesce a dare spessore a un personaggio che forse non ne aveva. Le polemiche intorno al film sono state molte: Lou Reed lo ha definito "ripugnante", mentre Dylan, nella sua solita magnanimità, ha addirittura vietato l'uso del suo nome. Certo, per giudicare equamente bisognerebbe avere una conoscenza approfondita della scena della Factory, ma anche senza si può supporre che il film abbia colpito nel segno, se ha fatto infuriare alcuni dei protagonisti dell'epoca.
La narrazione si sviluppa principalmente nel 1965, con qualche incursione nel 1970, e ripercorre l'ascesa e la caduta di Edie. Arrivata a New York come studentessa d'arte, viene subito irretita dal viscido Warhol (Guy Pearce), che la trascina in un vortice di party, droghe e alcol. Fragile e sensibile, Edie tenta di instaurare con lui un rapporto più profondo, ma Andy, notoriamente un vampiro di emozioni, è interessato solo a sfruttare la sua immagine per promuovere i suoi discutibili film. Come scrisse un giornalista cinico: "Per Andy mostrarsi con Edie era un po' come essere Vadim con la Deneuve, e non solo Andy il gay".
A complicare ulteriormente le cose, entra in scena Dylan (ribattezzato ipocritamente nel film "the folk singer Billy Quinn"). Edie tenta di inserirlo nel giro della Factory, ma tra lui e Warhol è odio immediato. Andy, per ripicca, emargina Edie; Billy, dal canto suo, non si dimostra molto più empatico e la lascia al suo destino. Da lì in poi, la parabola discendente di Edie segue un copione già scritto: droga, degrado, ricoveri in cliniche per disintossicazione e infine morte per overdose a 28 anni. Warhol, nel frattempo, aveva già trovato altre muse con cui farsi fotografare.
Va comunque precisato che Edie, rampolla di una famiglia ricchissima e con un passato di abusi e malattie mentali, era già ben avviata sulla strada dell'autodistruzione prima di incontrare Warhol. Quanto al suo presunto talento, rimane un mistero in cosa consistesse, se non sull'abilità di farsi notare. Con o senza Andy, la sua traiettoria sarebbe probabilmente stata la stessa. Dylan, con il suo solito atteggiamento sfuggente, dichiarò: "Io non c'ero e se c'ero suonavo una canzone di protesta". Più seriamente, ha liquidato Edie come un'ombra nella sua vita, anche se si dice che "Leopard-Skin Pill-Box Hat" e "Just Like a Woman" siano ispirate a lei.
Nota a margine: gli screen test di Dylan per Warhol sono disponibili su YouTube. Se vi interessa vedere quanto Dylan fosse annoiato e poco convinto, e quanto Warhol fosse incapace di dirigere, sono un piccolo capolavoro nel loro genere.
Carico i commenti... con calma