Cosa dico quando non parlo? Probabilmente dico qualcosa di più sensato delle parole. Come insegnava il vecchio Kandinsky, quando paragonava il punto (in grafica) al silenzio (nella voce). Un silenzio che però parla, diceva Wassily. E probabilmente, aggiungo io, lo fa meglio delle parole. Senza troppi ghirigori ipocriti, comprensione e incomprensione. La comprensione diventa un fatto accessorio (ci avete mai capito davvero qualcosa dei Gerda, tra urla e rumore?), a predominare è il flusso chimico che si viene a creare tra loro quattro - il disco - e voi che lo ascoltate. La musica sembra scomporsi a pura trasmissione, espressione, emulsione liquida che bagna i timpani e prosegue, via nella coclea, nei gangli nervosi dritti dritti fino alla vostra testa, facendo riemergere come su pellicola le impressioni, giochi di luci e di ombre e di colori: che importanza ha in tutto questo il linguaggio? Forse dovremmo ammettere che l'uomo non è solo parole e comunicazioni e stratificazioni di bugie, ma anche qualcosa di più silenzioso, che probabilmente è più sincero e vero, qualcosa che riesce ad essere sia mentale (o spirituale, se preferite) ma anche carnale. Diciamo viscerale e basta. Zot.

Quindi. Loro sono i Gerda, quattro ragazzi, Jesi (AN), "Cosa Dico Quando Non Parlo", coproduzione tra Wallace, Donnabavosa, Son of Vesta, Concubine e Shove, 27 minuti e rotti per 7 brani. Le belle e anche un po' patetiche parole che ho detto prima tramutate in musica, senza troppi fronzoli. Come riuscire a fare del rumore un messaggio e delle urla una poesia e dei ritmi scombinati da far uscire sangue sotto le unghie un'impressione in continuo movimento. Se la mente umana mentre ascolta musica è capace di essere come pellicola fotografica allora dobbiamo supporre che questi ragazzi siano una fonte di luce davvero incredibile. Potrei dire qualche termine riduttivo, tipo hardcore, o noisecore, o noise, oppure potrei inventarne di altri anche migliori: spazz-screamo, freecore, post-noise. Oppure potrei giocare con i paragoni: i La Quiete che fanno una jam con gli Zu, gli Orchid diretti (?) da John Zorn, i Nasum che rileggono Derek Bailey. Non so, potrei finire per divertirmi. Eppure davvero mi sembra che questi ragazzi stiano andando così in profondità come poca altra gente è riuscita a fare (ovviamente sono opinioni personali), tanto che pur presupponendo una "estetica" hardcore (anche se non so quanto possano essere sensati questi discorsi) dietro ai Gerda, dobbiamo anche poi immaginare, una volta ascoltando Cosa Dico Quando Non Parlo, che questi ragazzi tanto ci sono andati giù con l'hardcore (e l'estetica, e pure l'estetista) da perderlo alla fine di vista, diventando essi stessi l'hardcore, finendo per sfumare in un enorme, indefinito marasma in cui niente è vero e tutto è lecito, per citare un vecchio maniaco dell'hashish che non sopportava il papa. Stesso discorso si può applicare con tutti i simpatici termini senza senso che potete leggere qualche rigo sopra.

C'è poco altro da dire (non potevo chiuderla meglio sta recensione). Cosa dico io, adesso, quando non parlo? Per ora preferisco rimanere un po' in silenzio e mettere su questo disco. Giusto per sentirmi ancora un po' come una pellicola fotografica, impressionata da una luce che non posso descrivere meglio. Magari l'effetto piace anche a voi.

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