Giorgio Gherarducci, Carlo Taranto e Marco Santin, 'in arte' Gialappa's Band, sono stati 'rappresentativi', unici, nel modo di fare una comicità basata sulla semplice presa in giro e 'Mai dire Gol' il loro programma per eccellenza.

'Eroi' dei miei anni alle superiori ('97-2003) con 'Mai dire Gol', 'Mai dire Maik', 'Mai dire Grande Fratello', 'Mai dire Domenica', il film 'Tutti gli uomini del deficiente' e 'Rai dire Sanremo' a Radio 2 dove prendevano in giro il Festival presentato da Raffaella Carrà (a cui avevano mandato durante una diretta un paio di slip da donna, tramite i Sottotono, con enorme gioia dei tre), la figona modella Megan Gale (chi ancora ricorda estasiato i primi spot della 'Omnitel', poi 'Vodafone', di 2 anni prima?) e del suo 'stalker' Massimo Ceccherini nel 2001.

(Dei programmi tv citati cari a me molti comici, Alessia Marcuzzi nell'edizione del '99 di 'Mai dire Gol' e della olandese Elen Hidding in quella dell'anno dopo e due delle ballerine di 'Mai dire Domenica', le 'Letteronze' – una rossa [Serena De Lorenzis] e una bionda [Barbara Petrillo]).

Negli ultimi mesi dell'anno scorso avevo visto in una libreria del mio quartiere 'Mai dire Noi', un libro-intervista sulla vita e sulla carriera dei tre, scritto da un giornalista e autore per la tv e la radio Andrea Amato, che, superata la copertina con i caratteri usati per il titolo e la famosa nuvoletta appartenenti al loro programma più conosciuto, introduce e accompagna lungo la loro storia fatta di un incontro 'casuale' dei tre a 'Radio Popolare', a Milano, negli anni '80, il primo programma di presa in giro del calcio ('Bar Sport'), la chiamata a lavorare come autori e presentatori alle reti 'Fininvest' (poi 'Mediaset') di Silvio Berlusconi (e in questo periodo la scelta di diventare voci fuori campo, come racconta Carlo: '...l'azienda insisteva per mandarci in onda, non capendo quanto fosse preziosa la nostra assenza dal video. All'inizio lo trovavano troppo strano. Il fatto è che avevamo visto i servizi che le tv locali milanesi avevano fatto per “Bar Sport Mundial”, nel 1986: c'eravamo noi, nello studio di Radio Popolare, che parlavamo di Tago Mago, la vendetta di Montezuma e tutte le altre nostre minc....e di allora, ma non si vedevano mai le immagini di cui stavamo parlando. Di fatto inquadravano tre cretini che dicevano cose insensate. Lì mi fu chiaro che non dovevamo comparire'), la nascita del primo della serie dei programmi 'Mai dire', 'Mai dire Banzai', il grande successo e la statura 'cult' di 'Mai dire Gol' (primo programma tv di presa in giro del calcio), il loro unico film citato prima e il resto fino ad anni vicini a noi, con lo spirito dei tre nel gabbiotto dei vari 'Mai dire', guidati e 'moderati' dalla voce narrante dell'autore stesso.

Come nei loro programmi ho riso spesso anche leggendo queste pagine (mai nell'uno e nell'altro caso con l'effetto 'gialappa', dal nome di una pianta dal cui frutto si ricava un potente lassativo – nome trovato da Marco in un dizionario che aveva letto durante un corso di ripetizione dato a uno studente), calato negli ambienti dei programmi della mia giovinezza.

Un libro stupendo che vede tra molti dei capitoli due rubriche che li arricchiscono:

– 'Amarcord': storie di esperienze, spesso personali, quasi tutte scritte da chi le ha vissute;

– 'Amici nostri': conversazioni (per loro 'interviste') dei tre con molti comici passati da alcuni dei loro programmi, due presentatori (Nicola Savino e Alessia Marcuzzi) e un autore tv (Davide Parenti – famoso per la creazione del programma comico e di inchiesta 'Le iene' e creatore di uno dei primi programmi dei tre, 'Mai dire Tv') con la partecipazione della voce narrante dell'autore.

Basterebbe questo per ritrovarsi 'fra amici' con i tre e gli altri a passare una serata parlando di ricordi per ripensare 'al bel tempo che fu'...

Ma se ci si mette Walter Veltroni, scrittore ed ex politico, a parlare dei tre nella Prefazione, da 'amici' Carlo, Marco e Giorgio diventano 'artisti' e 'personaggi del secolo', cosa che loro non vorrebbero preferendo, pure se 'idioti', rimanere uno di noi.

Così penso.

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