Quello di Mosole è un percorso che negli anni sì è mostrato sempre più restio ad emergere, complice una mutazione dei tempi e nei gusti musicali di questa penisola che spesso hanno sottovalutato e mortificato il lavoro anche di altri meritevoli artisti nostrani.

Al sorgere degli 80 Gianluca Mosole, giovanissimo chitarrista mancino e multistrumentista di Treviso se ne veniva fuori con un riuscitissimo EP, “After Rain” nel quale affioravano tutte, o quasi le influenze principali: Benson, Metheny, Earth,Wind&Fire e una ampia immagine fusion/funky di riferimento. La tecnica poi era già stupefacente al confronto della scena allora in voga.

Seguirono altri e più o meno fortunati progetti (“Eartheart”, “Tepore” e “Magazine”, su tutti) conditi con la notevole presenza di ospiti prestigiosi della scena internazionale (Nana Vasconcelos, Miroslav Vitous, Hiram Bullock, Airto Moreira) con riscontri via via sempre più convinti tra il pubblico e la stampa specializzata.

Date con Miles Davis, Sting, Al Di Meola o ai vari festival Jazz della penisola  contribuirono a diffondere il nome di Mosole e a far nascere, nel suo piccolo, un seguito esiguo ma fedele ed affezionato.

Poi, dopo quasi tre lustri di assenza dalle scene parajazzistiche riappare l’uomo.

Dopo aver passato buona parte del tempo trascorso con formazioni più o meno commerciali e progetti improntati alla dance ritorna con un album forte, sentito, e arricchito da un esperienza accresciuta enormemente sia in sede compositiva che esecutiva.

La maniacalità, sulla falsariga di Donald Fagen con cui viene curato il dettaglio anche più infinitesimale balza subito all’occhio e le direzioni musicali sono molteplici; dalla brasilianità di “Carioca” alle rivisitazioni di gran classe di “The Look Of Love” di B.Bacharach o “Georgy Porgy” dei Toto. Una sconvolta e tesissima “Nardis” di Davisiana memoria colpisce per l’impatto; “Susy” riporta il clima in quella morbida atmosfera rassicurante dalle armonie di profonda intensità, a cui Mosole ci aveva già portati in alcuni episodi della produzione precedente.

No Title” e “Hey Pat!” sono forse gli episodi in cui più evidente è il debito del chitarrista trevigiano con i metodi compositivi  di Metheny, e la finale “Amarsi un po’” di  Battisti sorprende per l’originalità della scelta e della versione resa.

Non mancano gradevoli episodi cantati in cui hanno modo di evidenziarsi le voci degli ospiti dell’occasione: Cece Rogers, Manuela Panizzo e Moony.

E’ un modo per ricollegarsi idealmente ad un discorso interrotto molto tempo fa da Mosole in materia Fusion e che permette di ritrovare l’occasione per ascoltare uno dei chitarristi italiani più interessanti in assoluto nell’ambito del jazz elettrico.

Resta solo da augurarsi che non si debbano aspettare altri 15 anni prima che il nostro chitarrista mancino ci delizi con un nuovo parto.

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