Per qualsiasi creatura razionale, ma inevitabilmente sensibile ed incline ai turbamenti interiori dell'animo, giunge l'età per iniziare a lasciarsi alle spalle, quella rabbia arcaica, quella lieve manifestazione di "anti-qualcosa" per tendenza (talvolta) acquisita o (sovente) istintiva ed elaborare un processo di ricostruzione spirituale, non propriamente legata ad un qualsivoglia Dio o presunte entità sovrannaturali. Si genera così, con una stimolante naturalezza, come un lepidottero dal bruco, come un inaspettato soffio tiepido nei giorni della Merla, lungo un percorso più lineare e pianeggiante, tra un nitido e fresco sentiero in un mattino d'aprile, quella sensazione di quiete emotiva, di abbandono dell'afflizione, di declinazione degli sgomenti esistenziali.

Ha certamente dell'insolito la vicenda di Gino Paoli, cantautore di origini friulane, naturalizzato genovese e caposaldo della gloriosa scuola di Tenco, De André, Endrigo, Lauzi e Bindi, che nella stagione del suo mezzo secolo (autunno 1984), emerge dagli abissi di una crisi che pareva ormai aver decretato il suo requiem creativo e come i suoi venerati gatti, riagguanta con gli artigli appuntiti, il bandolo dell'ammatassato gomitolo, ingarbugliatosi circa vent‘anni prima, celebrando da quell‘istante un rinascimento artistico ed umano.
Lo riagguanta e lo rammenda con una dolce-aspra pace interiore che sta lentamente consolidando con il proprio Io, dopo aver passato il decennio di piombo, in sordina e dimenticato dal "giro", sfiorando l'implosione professionale, tra innumerevoli raccolte volute dalle case discografiche, in previsione di uno "già arrivato", cantando e decantando un certo disagio e un'insicurezza intimista, prima che sociale, non percepita dalle masse giovanili, incanalandolo lungo una spirale di immeritati fiaschi discografici ("I Semafori Rossi Non Sono Dio", tributo al cantautore spagnolo Joan Manuel Serrat, "Ciao, Salutime Un Po' Zena", interessante ode dialettale al capoluogo ligure e "Il Mio Mestiere", unico finora doppio LP, ambizioso, crepuscolare, affascinante e a mio parere, il suo album più bello, reale e personificato), disavventure che invece non accaddero ad altri noti colleghi ideologicamente idolatrati. Questi caotici "seventies" paoliani, possiamo pure sostenere, che si chiusero a 1980 inoltrato, con l'album tributo a Piero Ciampi "Ha Tutte Le Carte In Regola", irripetibile artista contro, incazzato, amareggiato ed incompreso.
Tali stati d'animo parevano ormai irrimediabilmente aleggiare anche attorno al consacrato autore de "Il cielo in una stanza" e "Sapore di sale", che dopo essersi giocato il capitolo "impegnato", rischiava ormai di venire definitivamente relegato a canzonettaro di serie B e ricordato nei secoli dei secoli come strimpellatore estivo da "falò in spiaggia", un autentico italian-beach-style, come Rita Pavone, Edoardo Vianello o Piero Focaccia, se non avesse coraggiosamente estratto le armi che più lo hanno sempre rappresentato ed identificato: la raffinatezza e una certa struttura poetica che amalgamate ad una consolidata maturità, ad un'elegante esperienza e ad un'onesta promozione pubblicitaria degna del suo blasone, gli consentirono, di generare un novello ciclo di fortunati lavori, inaugurati con l‘album "La Luna E Il Sig. Hyde", agganciando al suo repertorio più illustre, limpide e più attuali gemme che con gli anni successivi, si sarebbero cementate tra i suoi classici.

E come non menzionare "Una lunga storia d'amore" e "Averti addosso", premiata con la Targa Tenco come miglior canzone del 1984 e già pubblicata in un EP di quattro tracce pochi mesi prima (un altro celebre genovese si aggiudicò quell'anno, con "Creuza De Mà" il "miglior album" e la "migliore opera dialettale", mentre l‘amica di sempre Ornella Vanoni, "miglior interprete"), puri e gentili brani d'amore e d'innamoramento, spalleggiati da altre piccole, significative ed ispirate composizioni, rimarcanti una ricercata solitudine che Gino pretende e promette a se stesso di conservare; "Come un lupo", "Nel branco" e "La luna e il signor Hyde", rivelano ancora il suo lato più introspettivo, dualista, l'animale pensante che per una questione puramente biologica cerca compagnia, ma l'allegria partorita lo infastidisce. Ama l'entusiasmo interiore, non lo esterna e non si mischia con i suoi dissimili-simili, forse condivide le loro analoghe idee, ma una volta costretto a guerreggiare, parte a capo chino con i propri mezzi.

Non abbiamo negli altoparlanti il disco perfetto, ciò che ogni cantautore avrebbe ambìto scrivere. E' un prodotto leale, sincero e spontaneo che con melodie semplici, ma ben strutturate riesce in più frangenti a far vibrare le corde emozionali e senza ombra di tentennamenti, anello fondamentalmente robusto nella costellata collana discografica di Paoli. "Dalla parte di lei", "Ninna no", "Fotografie", altre brevi gocce di Gino che si spandono, rilucendo sul pavimento del tempo realmente vissuto o di quello sognato un po' effimero; sono frasi immediate, parole genuine, trasmesse da quel timbro flebile, con un accenno di ruvidezza, parole vestite dai tocchi sciolti ed esperti lungo i tasti di un pianoforte, parole velate da un'ennesima sigaretta accesa che impregna scenograficamente l‘aria, parole imbevute da un bicchiere di whiskey poggiato a terra durante un assolo, parole scorte propagarsi in elevazione, da due minuscoli occhi celesti, protetti da un paio di occhiali a goccia, sopra quella diradata chioma, già inoltrata all'inevitabile imbiancamento, di un secondo tempo appena iniziato, riassunto in un gioco di espressioni, dall'aria malinconica e riflessiva, spesso spontaneamente marcata e a lievi sprazzi saggiamente sorniona, impresse lungo un'immaginaria 35mm in copertina.

Parole che come un proiettile trafiggono dirette il cuore. Ma trafiggono delicatamente. Un proiettile che non da più alcun tormento.

Una dedica al DeUtente paoliano "GattoMatto"

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