Il progetto è senz'altro encomiabile. I protagonisti d'un livello, assolutamente e indiscutibilmente, altissimo. Il risultato... il risultato...beh, insomma. Perché quando s'è finito d'ascoltare questo -comunque importante- cd si rimane con un gusto in bocca di solo parziale soddisfazione, come accade a volte con certi vini che sono sì blasonati, son sì rifiniti, sono ultralavorati, ma alla fin fine non ti convincono del tutto. Qui, pur essendo d'accordo con tutte le critiche possibili sugli alti e bassi della produzione, siamo sicuramente innanzi a un Cantautore, uno dei primi, uno dei più grandi. Uno che ha dimostrato, nella vita, d'aver un "senso della canzone" non indifferente. E che ha purtroppo dimostrato, spesso, di non distinguere pienamente una bella canzone da una canzonetta da classifica o da un'altra la cui palese paraculaggine avrebbe rischiato di sputtanare l'intera carriera.
Ma, si sa, Gino Paoli è fatto così. Sa scrivere le armonie de "Il cielo in una stanza", o di quel capolavoro assoluto che è "Senza fine", e sa anche propinarci la (per me) sempre più insopportabile "Gatta" in ogni occasione, o sa conquistare le classifiche, già in zona terza età, con la discutibilissima "Quattro amici" (al bar). Insomma: un cantautore impossibile da amare e impossibile da non amare (perdonate: come le donne). Gli altri, per chi conosce e ama, come il sottoscritto, il jazz italiano, non hanno bisogno di alcuna presentazione. Certo si può dire, senza timore d'esser smentiti, che quando la parte armonica di un brano la si lascia a gente come Danilo Rea o a Renato Sellani (ospite in "Quando" di Tenco), e la ritmica a soggetti quali Roberto Gatto o Rosaro Bonaccorso, la struttura del pezzo è bell'e che fatta, e si può vivere tranquilli. Quando gli assoli sono nelle capacissime mani di Enrico Rava e Flavio Boltro, beh, c'è poco da fare: anche qui, risultato garantito. In più Paoli, del cui "senso della canzone" s'è già detto, ha anche capacità canore degnissime di nota, con quell'incedere apparentemente pigro e chetbakeriano, con quel sembrare insicuro e al pelo dell'intonazione quando è in realtà assolutamente perfetto. E allora? La scaletta? No: anche quella, sostanzialmente, perfetta (con una "Gatta" di meno e una "Vivere ancora" differente sarebbe stata assolutamente perfetta). Dunque, ragionandoci, un disco quasi eccellente. Ed infatti lo è. Ma è quel "quasi" che inquieta la parte di me che ama le perfezioni musicali assolute, soprattutto quando sono veramente lì, a un tiro di schioppo. Come avrebbe potuto esser perfetto questo disco, allora?
Personalmente con una registrazione in studio, che avrebbe consentito la cernita perfetta d'ogni elemento (ad esempio, ci gioco le balle, magari non tutt'e due, che Rava non avrebbe mai tenuto, davanti a diversi takes, la "Vivere ancora" presente su questo disco), poi una squadra leggermente ritoccata (perché due trombe e due piani? Non era meglio infilarci un buon sax o una buona chitarra...? In Italia non ne mancano di sicuro...), poi avendo dato al tutto un'assoluta aria di disco di "ballads", con atmosfere che ultimamente riescono benissimo a Charlie Haden o a Pieranunzi, per capirci.

Questo disco è, fondamentalmente, un disco di ballads, ma non è solo quello. E ciò che ne esce è un'opera anche abbastanza incerta nelle intenzioni, apparentemente. Sicuramente un bel concerto con grandissimi protagonisti; ma, come per certi vini e certi film, il blasone non basta. A volte l'ottimo regista o il grande enologo fanno la differenza, e qui si ha la sensazione che siano mancati.

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