Premessa: l'opera dura 156', che potrebbero sembrare un'eternità, eppure scorrono via veloci, talmente veloci che se ne vorrebbero di più, magari, che ne so, una bella serie televisiva, che meglio di "Emily in Paris" sarebbe di sicuro.
Impossibile condensare in due ore e mezza l'opera di Morricone. Tornatore ci prova. E gli riesce bene, nonostante il lavoro di montaggio sia evidente soprattutto nell'ultima ora, quando, fermi ancora all'Ennio di fine anni '70, si corre fin troppo rapidi sino ai giorni nostri, dimenticando tante colonne sonore degne di rispetto e concentrandosi solo sulle più celebri degli ultimi trent'anni: "C'era una volta in America", "Mission", "Gli Intoccabili", "Nuovo Cinema Paradiso", "Sostiene Pereira", "La leggenda del pianista sull'oceano", "The hateful eight".
Trombista al Conservatorio a Roma, diviene uno dei nomi più popolari tra gli arrangiatori delle canzonette (mica tanto "ette") di inizio anni '60 grazie alle sue originali intuizioni. "In ginocchio da te", "Se telefonando", "Sapore di sale" o "Il barattolo" (quest'ultima la canzone che salverà dal fallimento la RCA) sono alcune delle sue composizioni musicali più note. Fino all'approdo nel mondo del cinema, con la sua prima colonna sonora, quella de "Il federale" (1961) di Luciano Salce.
Tornatore lascia ampio spazio ai ricordi e alle suggestioni di chi l'ha conosciuto o semplicemente amato, e si mette in disparte, quasi a non voler disturbare. Non è una mera celebrazione sul talento geniale di un compositore senza eguali (forse solo John Williams gli è stato alla pari), ma è, più intelligentemente, una lunga memoria collettiva in cui ognuno di noi può ricordare qualcosa della propria vita attraverso i film e la musica ed è, nello stesso tempo, un bellissimo spaccato dell'Italia che fu e che è vista attraverso i suoni di colonne sonore entrate, ormai, nella memoria collettiva.
Tante le testimonianze. Impossibile citarle tutte. Alcune vanno, però, segnalate.
Gianni Morandi ricorda il travaglio che fu l'arrangiamento di "Non son degno di te" (Morricone, dopo due no ottenuti dal produttore a causa di un arrangiamento a suo dire troppo melodico, scrisse il furibondo incipit lanciando lo spartito in sala d'incisione accompagnato dalla frase: "Tieniti 'sta stronzata"); Gino Paoli lo ricorda come compagno d'avventure nello stendere l'arrangiamento di "Sapore di sale"; Bruce Springsteen che rimase folgorato dalle musiche de "Il buono, il brutto, il cattivo" e corse fuori dal cinema a comperare il disco della colonna sonora; Bernardo Bertolucci ne tesse le lodi a piene mani e cita l'avventura di "Novecento"; l'emozione che provò Dario Argento il primo giorno sul set de "L'uccello dalle piume di cristallo" a cospetto del maestro Morricone; Hans Zimmer lo considera un proprio totale punto di riferimento; Clint Eastwood che rimase folgorato sentendo le note de "Per un pugno di dollari"; Carlo Verdone; Wong-Kar wai; Oliver Stone e la richiesta, per "U-Turn", di musiche da cartone animato; Marco Bellocchio. E tanti altri.
Ovviamente, un capitolo a parte meritano il rapporto, lavorativo e amicale, con Sergio Leone (anche se non viene citata la colonna sonora di "Giù la testa") e di come Morricone considerasse robetta da due soldi la musica dei primi due film della cosiddetta trilogia del dollaro. Ma anche l'incredibile Oscar mancato per "Mission" (che andò ad Herbie Hancock per "Round Midnight" tra il rumoreggiare del pubblico); il rapporto epistolare con Terrence Malick (Morricone scrisse la colonna sonora de "I giorni del cielo"); le scelte, a suo dire, sbagliate di De Palma negli "Intoccabili" ("Gli mandai 9 composizioni e gli dissi non scegliere la numero 6. Lui scelse la 6") e, naturalmente, Quentin Tarantino e il suoi "The hateful eight", ma con Tarantino si sta dalle parti dell'ultrà (guardare per credere: Golden Globes 2016, Tarantino ‘pazzo’ per il premio a Morricone (youtube.com).
Un documentario serratissimo, a tratti malinconico, a volte persino divertente (la ginnastica mattutina di Morricone), che è un atto d'amore nei confronti di un genio e della musica in generale. A volte, forse, ci si dilunga in particolari interessanti ma non utilissimi ai fini del racconto (la composizione scritta per onorare le vittime dell'11 settembre), e gli ultimi cinque minuti sono un totale ed incondizionato elogio che puzzano un po' di santino, un peccato visto che i precedenti 150' tutto erano fuorchè quello. Però, si sa, in alcuni casi eccedere è quasi naturale. Oltretutto, Tornatore ben conosceva Morricone e non ha saputo resistere, forse, fino in fondo procedendo a barra dritta.
Tant'è. Oltre ad essere, incredibilmente, l'opera di Tornatore migliore da tanti anni in qua, è anche uno dei documentari più belli visti negli ultimi anni al cinema. Certo, non ha la genialità di "Get Back" di Peter Jackson (a proposito, l'avete visto?), ma è un signor film. Anzi, un più che signor film.
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