Glauber Rocha fu uno dei piú importanti registi brasiliani. Nato nel ´39, ha vissuto la sua giovinezza in un periodo di grande fervore culturale e ideologico, dovuto anche alla forte politica di sviluppo voluta dall´allora presidente Kubitschek. A vent´anni trova nel cinema la sua espressione artistica e dirige il suo primo cortometraggio. Glauber ha un vulcano in testa, sua madre racconta che usava allo stesso tempo due macchina da scrivere. Nel ´64, termina il suo secondo film, sua opera prima e rivoluzionaria "Deus e o Diabo na Terra do Sol". Venti giorni dopo con un colpo do stato viene instaurata la dittatura militare, che tardivamente cerca di proibire che il film venga proiettato al festival di Cannes dello stesso anno. Il film vuole anche essere simbolo del "Cinema Nuovo", inteso come movimento culturale che vuole staccarsi dei canoni del cinema americano per gettare lo sguardo verso il neo-realismo italiano e la novelle-vague francese, cercando di creare peró un´estetica propria, definita dal proprio Glauber nel suo manifesto lanciato a Genova nel '65.

"Estetica della fame" é il titolo di tale manifesto fondamentale per capire l'opera di Glauber. In esso, si rivendica una visione dei problemi del terzo mondo, cercando di evidenziare come il terzo mondo sia incapace di far sentire i suoi veri problemi, travestendo la veritá in un falso esotismo e di come i paesi civilizzati siano incapaci di vedere la miseria terzomondista come un sintomo tragico, ma solo come dato di fatto, visto con uno sguardo pietoso. Questa situazione dell'arte, tende inevitabilmente a influenzare la politica. La cultura civilizzata guarda all´america latina per soddisfare la sua nostalgia di primitivismo. Il forte condizionamento colonialista porta la cultura dei paesi in via di sviluppo ad un´ estetica della miseria che stimola solo l´umanitarismo dei colonizzatori. "Qua risiede la tragica originalitá del Cinema Nuovo in rapporto al cinema mondiale: la nostra originalitá é la nostra fame e la nostra maggior miseria é che questa fame, essendo sentita , non é capita." Questa tragica miseria vuole quindi opporsi a quella falsa estetica borghese che nasconde la vera realtá delle cose, chiamata da Glauber, "cinema digestivo" che per l'europeo diventa "uno strano surrealismo tropicale e per il brasiliano, una vergogna nazionale". Questa dialettica non puó che sfociare nella piú nobile manifestazione della fame: la cultura della violenza. "Per il cinema Nuovo, il comportamento giusto di un affamato é la violenza, e la violenza di un affamato non é primitiva, ma rivoluzionaria."

Purtroppo molte cose sopraddette sono ancora di grande attualitá; basta accendere la televisione brasiliana e assistere alle novelle spazzatura che ritraggono solo la vita alto-borghese di quel 5% della popolazione che ha in mano il 50% della ricchezza nazionale. Oppure chiedere a qualcuno di voi qual'é la prima cosa che gli viene in mente quando sente la parola Brasile: culi abbronzati, spiagge con acque cristalline, noci di cocco, calcio, carnevale, "garota de ipanema"...

"Il Dio Nero e il Diavolo Biondo" invece é ambientato nel “sertáo” del nordest, area geograficamente quasi desertica. Il “sertáo” era socialmente diviso, in tre categorie: i “fazendeiros” o latifondisti, quelli che erano sfruttati dagli stessi (che dopo il processo di forte urbanizzazione hanno riempito le “favelas”) e i “cangaçeiros”, ossia quelli che non accettavano questo sistema e rubavano ed ammazzavano (con gusto e brutalità) i “fazendeiros”. Ed é proprio fra questi che il protagonista del film si ritrova dopo essere scappato dalla miseria, da un assassinio, e da una spiacevole parentesi mistica con “San Sebastiano” (il dio nero del titolo), costretta fra l'illusione del sogno di una nuova vita é una tragedia abortita dal fanatismo religioso. Incontra cosí “Corisco” ultimo superstite del massacro dei “cangaçeiros” da parte delle forze pubbliche, personaggio emblema della violenza rivoluzionaria. Ucciso anche “Corisco” per mano di “Antonio das Mortes” (che in un western sarebbe un cacciatore di taglie), il nostro protagonista si ritrova ancora solo con la sua sposa, e scappa accompagnato dal messaggio finale del film: “che così mal diviso il mondo é sbagliato, la terra é dell'uomo, né di Dio e né del Diavolo”.

Ci sarebbe ancora da scrivere molto su questo film: che é un film di poesia, che é di una spontaneità sorprendente (senza ripetizione di scena), che le musiche e i testi (bellissimi) hanno la funzione di narrare il film stesso (basati nella letteratura del “cordel”), e poi le inquadrature, etc, etc,... Ma preferisco fermarmi qua, sperando di aver stuzzicato l'appetito dei buongustai del cinema.

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