Glenn Hughes, eccellente artista dagli illustri trascorsi, esordisce nei mitici Trapeze, (per chi malauguratamente non dovesse conoscerli, consiglerei perlomeno di procurarsi "Medusa", il classico album da portarsi su un'isola deserta).

Successivamente, la sua militanza nei Deep Purple lo fa conoscere ad un pubblico ancora più vasto. Sarà proprio il suo innesto a dare un'inedita svolta funk al sound del celebre gruppo, uno dei (tanti) motivi che causeranno forti mal di pancia a Blackmore, spingendolo ad abbandonare il gruppo di cui era uno dei fondatori.

Tra le sue molteplici collaborazioni egli ha all'attivo anche un fugace transito in una delle formazioni più estemporanee dei Black Sabbath, partecipando alla pubblicazione di "Seventh Star", che inizialmente avrebbe dovuto uscire come disco solista di Iommi.

Minato nel fisico da anni di abusi, Glenn Hughes sarà destinato ad anni di oblio e di sofferenze, poi fortunatamente egli avrà la forza di rinascere a nuova vita sia umana che artistica; inaspettatamente il suo spessore artistico crescerà notevolmente, sia in fase compositiva che nell'uso della sua straordinaria voce, non a caso verrà ben presto ribattezzato "The Voice of Rock".

Dalla sua totale riabilitazione l'instancabile artista, negli anni '90, ha ripreso a pieno ritmo la sua attività sia come solista che collaborando con illustri colleghi, fra i quali citerei perlomeno Tony Iommi, Joe Bonamassa e Jason Bonham (Black Country Communion), Joe Lynn Turner. Non da ultimo, il pluriennale sodalizio artistico con l'ormai inseparabile amico Chad Smith, ultimamente è quasi sempre lui a scandire il tempo negli album della sua discografia solista.

Glenn Hughes si è dedicato a molti progetti paralleli alla sua discografia solista, (ritengo che il più interessante in assoluto sia quello dei Black Country Communion) motivo per il quale sono passati ormai otto anni dalla pubblicazione di un album interamente a suo nome, l'ultimo era l'ottimo "First Underground Nuclear Kitchen".

"Resonate" copre degnamente la lunga attesa intercorsa dal suo predecessore.

Il disco si apre con "Heavy", il singolo che ne ha anticipato l'uscita, brano che suona ancora più potente rispetto alle sonorità alle quali l'artista è da sempre avvezzo, così come anche il successivo eccellente ed orecchiabile "My Town".

Alcune influenze riecheggiano tra i solchi del disco, le più evidenti a mio parere richiamano vagamente alle sonorità dei Deep Purple e dei Black Sabbath. "Flow" ha un incedere lento e possente che ricorda molto i Sabbath, l'utilizzo massiccio e potente dell'hammond su "Heavy", "Steady", "How Long" riporta maggiormente al sound dei Purple, ma ovviamente l'artista non ha certo bisogno di riprendere sonorità del passato vista la sua eccellente vena compositiva, si tratta semplicemente di qualche richiamo dovuto alla sua formazione musicale.

L'accattivante "God of Money" è uno dei pezzi più riusciti dell'opera, una di quelle tracce che ti rimangono impresse in testa; qui l'artista si scatena letteralmente con il suo basso padroneggiandolo magistralmente.

La bella ballata "When I Fall" dà modo all'artista di sfoggiare il tratto più soul della sua straordinaria vocalità, mentre nelle successive "Landmines" e "Stumble & Go" esce a pieno titolo la sua vena funk, finora in secondo piano su questo disco.

L'opera si chiude con un altro eccellente brano, "Long Time Gone" che parte delicato ed acustico per poi acquistare vigore e ritmo.

La bonus track della deluxe edition è un vero e proprio gioiello, "Nothing's the same" ancora più della già citata "When I Fall" si attesta per essere una delle ballad più coinvolgenti di sempre di Glenn Hughes, qui la voce dell'artista sembra quella di un angelo (non ho mai sentito la voce di una angelo, ovviamente, ma giurerei che sia proprio così).

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