È stato un ascolto difficile. Come tutti i lavori di questi nove canadesi, del resto.

Solo tre canzoni, per un totale di oltre settanta minuti di musica affascinante e visionaria. O insopportabilmente malinconica e struggente, dipende dallo stato d’animo con cui ci si avvicina all’ascolto.
Per questo motivo i GYBE! possono piacere o non piacere affatto, ma difficilmente si porranno in una posizione intermedia per cui li si ascolta e si dice: qui mi piace, qui di meno. Perchè non si può isolare un ‘qui’ neppure all’interno delle singole tracce.
Tutto l’album è infatti una cavalcata unica su suite strumentali fra richiami psichedelici, musica sinfonica e silenzi impercettibili.

Yanqui (Yankee) U.X.O. (unexplosed ordnance - landmines, la loro posizione politica è chiarissima) è un crescendo continuo di vibrazioni sonore, dissonanze e armonie. Melodie lente e decadenti cedono il passo a climax deflagranti e ricadono in un silenzio che diventa strumento musicale a tutti gli effetti.
La traccia ’09-15-00’ (il giorno in cui Sharon salì alla spianata delle moschee e da cui nacque la seconda intifada) inizia lenta e ansiosa prima di esplodere in tutta la sua forza distruttiva.
Nei 20 minuti di ‘Rockets fall on rocket falls’ ci si immerge con un riff malinconico di chitarra in un mare di suoni prima di affondare nell’ipnosi fatta di percussioni e archi sussurrati.
E nella mezz’ora conclusiva di ‘Motherfucker=Redeemer’ si piomba da un ritmo inquieto in una culla ovattata nella prima parte, per poi nella seconda risvegliarsi in un finale noise che dissolve ogni pensiero.

Ascoltare i GYBE! è come salire sulla transiberiana a Mosca e appiccicarsi al finestrino lungo i 7000 km che portano a Vladivostok, salutando il giorno che diventa notte e poi di nuovo giorno.
Quiete, tempesta e ancora quiete (dal vivo pare siano irresistibili: tre chitarre, due bassi, due batterie, violino, cello e proiezioni visive!).

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