Alison Goldfrapp e Will Gregory sono una coppia di talentuosi musicisti e... ninfomani. La loro giornata tipo funziona più o meno così: sveglia alle undici e mezza del mattino quando ormai l'ombra del sole è troppo tenue per coprire il loro sonno. Colazione con marmellata di ciliegie e burro di miele, poi lui la vede tutta sporca di marmellata e allora si amano per la prima volta nella mattina. Poi giù nel bungalow perso per i campi, a suonare moog e piano fino a notte tarda, campionare Barry e amarsi oralmente con sotto Morricone. Posseggono tutto ciò di cui hanno bisogno, grazie anche alla rendita del padre di lui. La sera suonano insieme, lui il piano e lei la sua splendida voce da troia d'argento, nei locali più compromettenti della Bristol Veneer Surface in da Black.

Ma un giorno tutto il dolce muoversi armonico della loro placida vita subisce un sussulto. "Ma tu mi ami?", chiede Alison, quasi ansimante mentre stanno scopando sopra la postazione da dj di lui. "Non so, davvero non so, anzi... si, forse. Ma dimmi, oh musa, come posso dimostrartelo". Allora Alison dalla voce sirena e il corpo lince gli sussurra all'orecchio sinistro: "Scrivi. Scrivimi un disco, per me, per la mia voce, per il mio desiderio sessuale. Se sarai all'altezza, sarai anche all'altezza di amarmi". Così lei si scosta dolcemente dal suo corpo e si riveste, dopodichè si fuma una sigaretta al mentolo e guardandolo con una freddezza negli occhi disarmante: "Niente più sesso finchè non mi fai il mio disco". Da lì a pochi mesi nasce "Felt Mountain". Disco alla ricerca della passione perduta, e in cui Gregory tenta di descrivere quello sguardo freddo che le ha visto negli occhi. E poi Alison occhi di neve: tutta un sussulto, e la sua voce è nebbia di sangue, e gli archi alla Nino Rota di lui fuoco maschio, e lei ulula con l'aiuto del vocoder e lui che modula il vocoder sorseggiando un frequency analizer. Sembrano una versione ancora più malata dei Portishead, ma è tutto trip. "Non c'è un cazzo di hip-hop, amore", chioccia lei stringendogli il collo tra le mani.

E "Lovely head", come tutte le canzoni del disco nasce così. Lui che entra nel bungalow alle 3 di notte con un sigaro acceso, si mette a fischiettare come fosse nel set di "Per un pugno di dollari", maneggia quegli analogici antichi synth di archi, poi entra lei e completamente nuda canta davanti al microfono in preda ad una crisi agonizzante di amore fisico. Quindi Gregory preso dalla voglia si prostra viola in viso su di un clavicembalo digitale e suona il suo canone in sol minore, spossato dal desiderio. Nel frattempo Alison ricama testi allusivi, sofferenti, ci scrive dietro parole solo per il gusto dell'alliterazione, versi sessuali che poi griderà sottovoce, più angosciata di Fiona Apple, come su "Paper bag" (che pronuncia "peipappep", e lo guarda sempre nuda dal fondo del bungalow). Mesi a fare del trip elettronico, noir e un po' sado e un po' maso. Ma Will Gregory Peck non si ferma e compone con lo scheletro di un jazz divorato dagli anni e dal fumo, com'è "Horse tears", che Alison dedica a lui che ormai piange dalla voglia, come un cavallo. La sua voce che lo chiama sprezzante: "lalalalalalà, lalalà... lalà!", come nella colonna sonora di Rosemary's Baby, ma più ambient, più electro, e lei sempre più puttana.

Quando finalmente finisce il disco lui ormai colante di sudore lo consegna a lei e al mondo della musica (nell'annus domini 2000), dopo un mixaggio certo certosino. Lei guarda il disco, poi guarda lui, allora gli bacia il mento con fervore e se ne va soddisfatta. L'anno successivo sarà sesso, marmellata di ciliegie sui capezzoli, concerti, orchestre, pubblicità voluttuose della bmw e l'incantesimo durerà, per sempre, almeno fin quando non avranno voglia di fare un altro disco. Ma lo stesso incantesimo non si ripeterà mai più, e mi riferisco alle due merde di album che hanno fatto dopo. Perchè ormai la passione è scomparsa, ed è rimasta solo la voglia di scopare.

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