Stamattina pioveva.
Una pesante coperta di nuvole nascondeva le montagne e scendeva, poco oltre a me, a lambire le acque verdi del lago, ancora fumanti dei fuochi di San Rocco. È così bello il lago quando piove, sembra un enorme smeraldo solcato dai venti ed ammantato da mille preziose gocce. Intorno, solo un plumbeo piumino di vapore.
Mi piace camminare quando piove; nelle orecchie solo lo scroscio della pioggia e l’acquoso cigolio delle mie gazzelle inzuppate, al limite il rombo attutito di un automobile.Poche persone per le vie, i tedeschi non saranno nemmeno usciti dai loro campeggi. Le signore anziane portavano il sacco della spesa, qualcuno passeggiava. Qualcun'altro ancora vegetava al bar, sigaretta e bianchino, ma questo in un paese non fa notizia.
Mondo piccolo, quello del paese; piccolo mondo antico, lo definì il Fogazzaro. La gente è la stessa di sempre, i fatti sono sempre i soliti, anche quando non vorresti saperne nulla. Il paese del resto dovrebbe essere un luogo dove vivere tranquillo, non un luogo comune: non tutti conoscono tutti. Io non conosco tutti, non mi interessa nemmeno farlo, ma non ne sono poi così sicuro, certe volte. Il paese non vive solo di gente: vive anche di tradizioni. Sempre che un sindaco piuttosto "intraprendente" non le mantenga come ha fatto con ieri con il mitico palo sul lago, cuccagna da generazioni. Questo è però un altro discorso, ne riparlerò dentro al paese. Tradizioni, usi e costumi, salami e formaggi. Storie antiche e persone vissute. Speranze e timori ancora da venire. Si spera, qualcuno che canti tutto ciò, qualcuno che canti del suo paese. Con le parole, come il malinconico scultore ertano per il suo paese morente. O con la musica, come il Davide per i nostri laghi. Qualcuno che canti del suo paese anche se il paese è un Paese. Soprattutto se è un paese dal passato recente buio come una notte di tempesta.
Se si ascoltano i racconti di Goran Bregovic, la voce che si sente è quella della sua terra; una terra, quella balcanica, che vorrebbe mostrarsi diversa da quella che appare. Non uso un brutto termine, folklore, lo lascio volentieri nella naftalina. Quella della numerosa banda Paesana di Bregovic è un canto di popolo, concetto diverso. Melodie zigane ed infuocati tanghi, ottoni che ridono, soffrono, piangono e gioiscono. Imparai ad apprezzare questo folletto di padre croato, madre serba ed infanzia bosniaca qualche anno fa, quando seduto nei suoi pantaloni marroni rifletteva sulle canzoni per matrimoni e funerali: pensava alla delirante “Polizia molto arabbiata”, alla balcanica sferzata di “Sex”, ai lamenti di ottone dell’intricato e vivo con fuoco "Tale VII", alla polifonia balcanica di “Hop hop hop”.
Pensava che qualcosa di più ambizioso poteva seguire, addirittura un’opera lirica, la Carmen. Anzi, la Karmen. Con un lieto fine, però, come vorrebbe fosse quello della sua terra.
Trasposizione dell’opera teatrale che lo stesso Bregovic e la sua Banda per Matrimoni e Funerali hanno presentato sui palcoscenici di mezzo mondo, questa “Karmen” è una rilettura dell’opera di Bizet, che peraltro affiora solo in capo ed in coda, poi è solo follia balcanica. La storia, incentrata sull’amore tra una cartomante gitana ed un trombettista senza fissa dimora, viene raccontata alla solita maniera, tipica dell'ex rockettaro jugoslavo ora cantore serbobosniacocroato: mosaici di suoni stridenti accatastati su cantati tremuli e sporchi, raffiche di trombone e boati di corni, rintocchi di garruli vocalizzi. Forse, anche troppo alla solita maniera: si avverte la mancanza del brano forte, dello stacco dalla monotonia che, latente nel predecessore, qui riesce un po’ ad affiorare. Manca la “Kalashnikov”, insomma. I brani, tutti piacevoli e a volte non indimenticabili, scorrono come le maldicenze zingare che raccontano: “Gas Gas”, “Bijav”, “Ne Siam Kurve Tuke Sijam Prostitute”. A essere sinceri, uno stacco c’è, ed è notevole. Non poteva che essere così: a cantare “Focu Di Raggia” è proprio Carmen; la sua voce rende il brano davvero bello ed avvolgente. Poi tutto torna a scorrere tra percussioni, fiati e tocchi della folle genialità propria di Bregovic, fino a che verrà “Lamour”, inventato per una volta lieto, sulla celebre aria “Habanera” (leggo chiamarsi così…) del glorioso compositore. Evviva.
Mi rendo conto di quanto sia delirante questo scritto di pesantissima lettura. Mi rendo conto che dalla pioggia del mio paese son finito a parlare di serbi, croati e bosniaci; un po' come se D’Annunzio passasse dal pineto al Bosco Atro solo perché può piovere anche nella Terra di Mezzo; e poi lo sai che io sono megalomane, quando piove i fiumi si ingrossano e la grande Fiume mi aspetta. Fiume che è in Croazia, vedi che avevo ragione, O Ermione? Perdonatemi; ma sapete, ogni tanto è bello farsi prendere dal fiume in piena dei pensieri e delle parole, almeno quel fiume è asciutto e non lascia i piedi in un gelido involucro fradicio, che per quanto piacevole è comunque una gran rottura di palle. Di pelle no, perché sono di tela, le gazzelle. Anche se poi ci fanno rima, con la pelle. Tant'è.
Ah, dimenticavo: l’album, comunque - sia chiaro - ottimo diversivo regalatoci da un grande artista, al quattro ci arriva anche per l’apporto di Carmen, un'artista dalla voce emozionante come la pioggia d’agosto. Carmen Consoli, s'intende.Carico i commenti... con calma