Mi sono preso qualche momento di riflessione, sdraiato sul prato a guardare il cielo… stellato. Quello stesso cielo che qualche ora prima era arrabbiato e minacciava di scaricare tutto il suo carico di pioggia elettrica. Le stelle, pallide, mi confermano di aver assistito ad un evento memorabile, una di quelle serate che ti riconciliano con te stesso.
Goran Bregovic, con quel suo furfante sguardo di traverso, è un istrione, un affabulatore, un grande artista. La sezione fiati (composta di otto elementi), si presenta sul prato ai lati del palco, equamente divisa, ed inizia a scaldare il pubblico, mentre sopra prende posto la sezione vocale, formata dalla splendida voce solista di Vaska Jankovska e da due coriste, in abiti tradizionali (balcanici… ???). Il percussionista e cantante Alen Ademovic si piazza al centro del palco, dietro il suo Goc (una grancassa ornata di un piccolo rullante ed un piatto “cinese”) ed inizia a battere il tempo ed a lamentarsi in una rotante litania.
L’introduzione è terminata… è l’ora dell’entrata in scena del protagonista. Bregovic sale sul palco poco prima delle dieci (ne scenderà abbondantemente passata la mezzanotte… !!!) in un completo bianco e con un sorriso che sembra di circostanza, ma che pian piano mostrerà essere di consapevole maestria nel saper divertire e far dimenare la gente.
Si accomoda sulla sedia, imbraccia la chitarra elettrica, accende il laptop, presenta la serata in un italiano quasi perfetto e dà il via alle danze con “Polizia Molto Arrabbiata”, un pezzo incredibilmente divertente (e non solo per il divertissement del testo); i brani si susseguono ad un ritmo frenetico, ora veloce e festaiolo, ora più pacato e riflessivo; la musica sprigionata è un incredibile miscuglio di armonie balcaniche, accenni di moderno rock (post… ???), fanfare tzigane, elettronica kletzmer e polifonie bulgare.
Il tutto sapientemente orchestrato ed ordinato da un artista moderno ed antico al tempo stesso, capace di far saltare (letteralmente) bambini, giovani e meno giovani, esattamente come ai matrimoni zingari, da cui ha tratto notevole fonte d’ispirazione. La scaletta si snoda fra i suoi “classici” come “In The Death Car” e “Money” (dalla colonna sonora di “Arizona Dream”) o “Underground Tango” o “Wedding Cocek” (da quella di “Underground”); anche se ad essere saccheggiato è il suo lavoro “Tales & Songs From Weddings And Funerals” con la “violenta” “Coctail Molotov” su tutte.
Bregovic non disdegna un paio di incursioni nel passato remoto, prendendo due brani dal suo esordio (la colonna sonora de “Il Tempo Dei Gitani”) e si lascia andare del tutto nei bis… la serata sta volgendo al termine, la banda ritorna sul palco dopo pochi minuti di pausa e Bregovic annuncia un brano che a lui piace cantare dopo aver bevuto (e sorseggia un bicchiere di whyskj… ???), parte “Mjesecina” (che sembra la rivisitazione di una di quelle canzoni da ubriaconi) seguita dalla finale "Kalashnikov" che fa letteralmente infiammare il pubblico sottostante, tanto che viene ripetuta due volte… Wow… è tutto quello che riesco a pensare e decido di prendermi qualche momento di riflessione, sdraiato sul prato a guardare il cielo… stellato.
Quello stesso cielo che qualche ora prima era arrabbiato e minacciava di scaricare tutto il suo carico di pioggia elettrica. Ma Goran è riuscito a far sorridere pure lui.
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