1970: Gordon Lightfoot può già vantare quattro album in studio, e che album oserei dire, un capolavoro, un grande disco e due ottimi, ma in quell'anno succede qualcosa: il primo disco di inediti pubblicato per la Reprise records, segna l'inizio della lunga e fortunatissima collaborazione con il produttore Lenny Waronker; intorno a Lightfoot comincia a formarsi un nucleo stabile di musicisti, e la fase "acustica" della sua carriera termina definitivamente. Si apre così un nuovo ciclo, sei anni da leggenda inaugurati da questo album, originariamente intitolato "Sit Down Young Stranger", poi rinominato "If You Could Read My Mind" in seguito al grande successo dell'omonima canzone.

"If You Could Read My Mind" è un punto di svolta nella carriera del cantautore di Toronto: la prima grande hit, che lo renderà un'icona in patria e lo farà conoscere nei vicini USA (purtroppo altrove Gordon Lightfoot non raggiungerà mai la fama e il riconoscimento che avrebbe meritato): è un vero e proprio instant classic, una ballata in cui alla tradizionale chitarra acustica si aggiunge un suggestivo arrangiamento di archi che conferisce alla melodia uno slancio emotivo degno di una colonna sonora da Oscar, ma questa canzone non è la più adatta a rappresentare l'album nel suo complesso: le radici 60's non sono state affatto dimenticate; questo è un album dai toni piuttosto "bassi" come ad esempio "Minstrel Of The Dawn" e "Your Love's Return (Song For Stephen Foster)", in cui gli archi intervengono in modo più pacato rispetto alla titletrack, creando scenari soffusi e sognanti. In un filone più strettamente acustico rientrano invece l'epica interpretazione di "Me And Bobby McGee" di Kris Kristofferson, la leggera "Saturday Clothes", dall'atmosfera retrò ed elegante in maniera quasi indolente e "Cobwebs And Dust", uno scarno e melanconico walzer in cui un uomo dà l'addio alla sua terra d'origine, mentre "Approaching Lavender" e soprattutto l'orientaleggiante "Baby It's Alright" sperimentano un sound più tormentato e quasi cupo, ed aggiungono interessanti ombreggiature a questo stupendo album, in cui brillano in particolare due punte di diamante, due tra i più grandi capolavori di questo cantautore: la prima è proprio la titletrack spodestata, "Sit Down Young Stranger", la canzone più essenziale, più strumentalmente povera dell'album, e soprattutto  la più emozionante: una ballata chitarra & voce di rara bellezza, un flusso di coscienza, uno sfogo gentile e commosso, di quelli da nodo alla gola, e la seconda è "The Pony Man", che a parte l'utilizzo dell'armonica non si discosta di molto da "Sit Down Young Stranger" come stile e musicalità, è anch'essa molto intima e personale, ma in maniera quasi opposta: è una storia di campagna, una situazione apparentemente ordinaria, che agli occhi incantati di un bambino diventa una visione fantastica, un sogno che prende vita, musicato dal Gordon Lightfoot adulto per assicurare a questo album una chiusura di quelle che non si dimenticano.

Tecnicamente e stilisticamente parlando questo disco, comunque lo si voglia chiamare, è ancora un'opera di transizione; negli anni a venire seguiranno album più vibranti, più elettrici e volendo anche più moderni e creativi, ma ha un fascino straordinario, è il secondo grande capolavoro di Gordon Lightfoot, che trova la sua bellezza nel suo carattere mite e gentile, nel suo equilibrio perfetto e nel susseguirsi di stili, sensazioni ed atmosfere che si rincorrono in un armonico girotondo. È un manifesto perfetto per questo artista e un ideale punto di partenza per approfondirne la conoscenza.

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