Grande ritorno dei deathsters olandesi, reduci da una reunion culminata con la pubblicazione nel 2005 del notevole "La Muerte". Sono passati molti anni da "Chapter 13" che molti hanno amato per la notevole contaminazione seventies presente al suo interno, ma che in definitiva ha portato allo scioglimento del gruppo, ormai lacerato tra le incipienti influenze rock-blues dell'axemen Boudewijn Bonebakker e lo spirito battagliero del singer Jan-Chris De Koe. Sono passati molti anni da allora e di ciò che aveva portato a quella prematura frattura è rimasto ben poco: con "Rise to Ruin" si ritorna a parlare, senza più remore o retaggi, di death metal old school, di quello fatto alla vecchia maniera, cioè con notevole ferocia e perizia, senza eccedere in velocità o rendersi claustrofobici e quindi indigesti per l'ascoltatore (certo è che se vi piacciono Nile e compagnia brutal questo disco vi permetterà di respirare un po').

I nostri decidono che è il caso di picchiare duro sin dall'opener "Revolt" e di dare un saggio di potenza e maturità artistica per l'intero arco di durata del disco, alternando beatblast tritaossa del mostruoso, come sempre, Ed Warby (ho sempre amato molto il suo modo preciso, elaborato e potente di suonare, riconoscendogli la capacità di percuotere le pelli con una tale fluidità che altri suoi osannati colleghi si sognano) con partiture più lente e sofferte, a volte estremamente rallentate come a fare da effetto fionda per gli assoli del duo Bonebakker/ Harthoorn, capaci di variare dal romantico e sofferto al classico sciorinamento di note in sequenza magari con l'aggiunta (e qui si sente quello che è rimasto del periodo pre scioglimento) del sempre prezioso wah-wah/cry baby. Da segnalare inoltre la strabiliante prestazione vocale del buon Jan-Chris: fin dagli esordi si era fatto conoscere la sua cavernosa abilità vocale che col tempo è addirittura migliorata (o peggiorata se il growl non vi è gradito). Un urlo così gutturale ma limpido, usato anche in maniera intelligente per non apparire forzato ed abbinato ad una metrica che lo esalta, non è facile da trovare: davvero efferato.

Altro punto a favore di questo "Rise to ruin" è, a mio parere la scelta del realismo dei suoni: nessuna esaltazione bombastica della batteria, nessun uso di trigger, Marshall a manetta e Gibson Les Paul Standard accordate in B (vi garantisco che se anche masticate poco di strumenti musicali e chitarre sentirete una netta differenza con altre produzioni death), il tutto per rendere davvero personale e riconoscibile il marchio di fabbrica Gorefest.

Detto tutto ciò segnalerei con note di merito l'iniziale "Revolt", le telluriche "The War On Stupidity" e "Speak When Spoken To" e i ben 9 minuti di "Babylon's Whores", ma in generale siamo al cospetto di un platter che dà una scossa terrificante alla cervicale per quanto headbanging costringe a fare.

Un grande ritorno.

Elenco tracce e video

01   Revolt (05:26)

02   Rise to Ruin (04:48)

03   The War on Stupidity (04:13)

04   A Question of Terror (05:35)

05   Babylon's Whores (09:08)

06   Speak When Spoken To (04:19)

07   A Grim Charade (05:07)

08   Murder Brigade (04:14)

09   The End of It All (05:54)

10   Surrealism (04:29)

11   Dehumanization (03:33)

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Altre recensioni

Di  RobyMichieletto

 Il nuovo "Rise To Ruin" è lavoro compatto e mette in mostra un sound violento, che prescinde dai generi.

 Un'assoluta garanzia!