La solita serata calda per la tua macchina che si fionda a fari praticamente spenti verso il localino in zona Ostiense, quello con l'intimo cortiletto e la ciminiera.
Scopri, ma te lo aspettavi, che il concerto inizia tardi.
Capisci, e non lo sapevi, che è una delle date del cosiddetto "Queer Festival", di cui decidi di conservare l'emblematico cartoncino pubblicitario.
E poi che fai? Attendi.
Fino circa alle undici e qualcosa.
Quando la folla inzuppa il locale e l'umidità inizia la sua scalata verso il 200%.

Entrano i tre Dada Swing: lei magra e verticale, chitarra composta ed aria da snobbettina, lui spettinato, sguardo che manco il buon Rocco delle patate, chitarra buttata lì, genericamente obliqua, l'altro dietro alle pelli, ingombrante e all'apparenza bonario, pronto a scatenare bordate di sudore tribale. Nel mezzo una tastierina su cui si accaniranno a turno.
Attaccano a suonare filastrocche per piccoli maniaci a tre voci, con ritmi ossessivi, semplici, veloci. Non sei venuto per loro, ma di sicuro ti incuriosiscono.
Poi ti distrai per i due compari seminudi che si sistemano a lato palco. Unico indumento: perizoma retro illuminati da neon verdi su per i rispettivi deretani. Gli individui iniziano a tagliuzzare teneri coniglietti di peluche gettandone le membra nel pubblico che sghignazza. Agli animali barbaramente sminuzzati segue una pioggia di guanti e di qualcos'altro che non perdi tempo ad identificare. Schivi con noncuranza molto english e cerchi di riportare gli occhi sui musicisti.
Dopo un pò avverti un senso di nausea, di stordimento, quasi. Forse sono un filino ripetitivi, forse quella dannata cocacola a stomaco vuoto ti ha fatto male.
Il set finisce con i due neon posati gentilmente davanti alla tastierina di cui sopra (e due sederi nudi che si allontanano su per la scaletta a sinistra).
Saluti e baci. Cambio.

E' la volta di Beth Ditto e dei suoi.
Si sistemano e già senti di amarla: è bassa e tondeggiante, di un tondo che trasuda simpatia. Saltella, parlotta, sorride. Davanti a te tre ragazze hanno pensato bene di seguire il concerto sedute per terra, ma Beth non ci sta e e glielo dice: qui si balla, quindi su, in piedi. Grande, brava.
Prima di cominciare raccoglie uno dei neon verdi, lo guarda, lo annusa, ridacchia. Rumoreggia in maniera non proprio garbata, forse sono gargarismi preparatori.
Poi attacca il rito. Il rito del rock and roll. O meglio del garage soul di questo piccolo grande gruppo targato Kill Rock Stars. Tutto trainato, trascinato e portato al delirio dalla gran sacerdotessa Beth. Che grida, ringhia, lancia le sue urla senza perdere mai il senno o steccare le note, inietta nei pezzi da studio che ricordavi una carica travolgente che farebbe ballare un morto con le gambe maciullate. Ti ritrovi ansante, immerso nel sudore di sconosciuti sorridenti, che scuoti dalla testa quei fottuti pensieri di due ore fa, le solite preoccupazioni della tua vita del cazzo.
Tema principale del gig l'ultimo lp dei Gossip: il punk-funkettaro "Standing On The Way of Control", ma percepisci incursioni nel passato del gruppo. Non ne sei sicuro, a fine serata già avrai dimenticato la scaletta: sei troppo impegnato a godertela.
Fra una canzone e l'altra la Ditto concede i classici siparietti che ci si aspetterebbe: si informa della traduzione in italiano della parola "fat", proclamando orgoglio per l'adipe personale, o chiede come diciamo "fucking hot", subito generosamente e variamente informata dal pubblico. A tratti si volta verso di noi con fare ammiccante ed espressione capricciosa.
Ogni sballonzolamento delle sue curve è terribilmente armonico e sinuoso, direi ipnotico.
Poi la situazione degenera: il caldo aumenta e Beth decide di non poter resistere chiusa nella sua gonnellina jeans e nella camicettona a pois neri. Il tempo di due canzoni, ed eccola in tutta la sua mirabile gonfiezza, coperta solo di reggiseno e mutandazze. Ma non c'è nulla di schifoso, nulla di ridicolo: è sempre lei, la nostra sacerdotessa, è solo il necessario culmine del rito che sta arrivando. E' l'orgia del rock and roll.
Ultimo pezzo: la title track, quella che hanno anche remixato Le Tigre. Luci rosse intermittenti, grida, braccia alzate, saltare, saltare, cazzo. Gridate con lei. Cantate anche se non sapete il testo. Beth si lancia nel pubblico e ti ritrovi la sua schiena liscia e spropositata contro il petto mentre gira come un'invasata in un vortice improvvisato di ragazzi sorridenti. E tu balli e ti scuoti e cazzo, sudi, salti, sudi. Finisce tutto e pensi che la felicità è nelle piccole cose, nei piccoli posti, e fanculo al resto.

Love love love.

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