E' paradossale ma per diverse persone il nome Gotthard è legato a doppio, triplice filo con 'Lipservice' manco si trattasse del loro debutto. Quel lavoro uscito sotto Nuclear Blast nel 2005 da molti viene definito come un grandioso disco di classic hard rock.

Hard rock??? Forse per alcuni recensori un album che viene pubblicato da un etichetta che si chiama "esplosione nucleare" deve per forza di cose essere almeno "hard". Peccato che 'Lipservice' sia, oggettivamente parlando, un esempio di AOR/rock melodico alla Bon Jovi suonato, cantato e prodotto in maniera magistrale da dei professionisti alla loro settima release in 15 anni di attività. La pecca di 'Lipservice' a mio parere non risiede nella sua sostanza in quanto le canzoni, lineari per struttura e linee melodiche, hanno il grande, e non comune, pregio di rimanere in testa dopo pochi ascolti. Quello che mi disturba consiste nel fatto che cancella in parte l'anima veramente hard rock dei primi Gotthard presente in album come l'omonimo debutto, G. Point, Dial Hard ecc...

Il processo di cambiamento del sound è avvenuto con 'Homerum', proseguito con 'Human Zoo' e continuato con il successo globale di 'Lipservice' cui ha contributo la grande distribuzione della Nuclear Blast. Adesso che i Gotthard sono diventati un nome conosciuto anche oltre la Svizzera sono pronti per far uscire 'Domino Effect'. Non riponevo tante aspettative in questo lavoro in quanto temevo in un compact disc ancora più patinato, leggero, con una produzione pronta ad esaltare le melodie più che la chitarra ed i riffs di Leoni e Scherer. Con sorpresa i Gotthard tornano invece a fare hard rock ed io sono contento.

L'album rispetto al suo predecessore non è così facile, ammiccante e lascivo ma si deve ascoltare ben più di una volta prima di poterlo apprezzarlo completamente. Partenza affidata al mid tempo "Master Of Illusion" che si basa su un riff pesante, cadenzato e semplice. Le tastiere sono quasi inghiottite nel sound metallico della sei corde di Leoni e nell'ugola ruvida di Lee. Si prosegue sulla stessa linea dura con le atmosfere cupe di "Gone Too Far" dotata di un coro ipnotico complesso, che alla lunga darà dipendenza, e con una title track che conferma la propensione del disco verso un rock genuino, grezzo, minimale, con melodie accennate. Un violino prima, il piano poi, tutti e due gli strumenti (più la chitarra) assieme nel prosieguo accompagnano Lee in un ottimo lento strappalacrime e triste ("Falling") per il suo testo dove il rimpianto regna sovrano in strofe come "Searching for someone / when the one was mine... while searching for someone like you / while knowing there's no one like you". Con il singolo "The Call" i Gotthard non ci vogliono regalare un brano più solare, allegro, veloce e tirato ma optano per una ballad grigia molto orecchiabile e facile dotata di un crescendo prevedibile che viene impreziosito dalla prova dietro al microfono di Lee.

La parte centrale del disco denota un calo sebbene le tracks siano comunque più che ascoltabili. "The Oscar Goes To..." è una canzone a mio parere troppo prevedibile che rischia di stufare nel tempo, "The Crusaider" dopo il gradimento iniziale determinato dal bel lavoro di chitarra si perde in strofe dispersive, un coro decisamente troppo lungo e un sound troppo AC/DC oriented. "Come Alive" è una ballad tra Brian Adams e Bon Jovi: sinceramente mi erano piaciute molto di più le prime due e quindi passo oltre. "Heal Me" entra invece in testa con arroganza senza chiedere il permesso prendendosi spazio nella nostra con un calcio rappresentato da un riuscito riff supportato dalla sezione ritmica: un hard rock coinvolgente e da sede live. "Letter To A Friend" sembra un lento ma in verità si trasforma in un bel mid tempo cadenzato con tanto di assolo riuscito che lancia il finale pomposo determinato dal suono campionato delle orchestrazioni prima di chiudere il giottesco cerchio tornando sulla strofa iniziale.

Giro di basso, voci distorte ed elettronica per "Come Alive" che, essendo talmente diversa e lontana dal resto del prodotto, non può far altro che attirare l'attenzione dell'ascoltatore. Se a questo aggiungiamo un buon assolo, l'ottimo innesto delle backing vocals nel ritornello e una durata limitata il centro è fatto. Il finale ha bisogno di un pezzo esplosivo e arriva così "Now"; una sorta di inno ruffiano con il bridge che lancia il coro in modo magistrale: io già mi vedo Steve Lee su un palco ad incitare la platea a muoversi e a cantare. La chiusura è affidata alla godibile e leggera ballata "Where Is Love It's Gone".

'Domino Effect' è un cd di valore e coraggioso. Dopo il clamoroso successo di 'Lipservice' (alzi la mano chi ha conosciuto questa band nata nel 1990 solo dopo l'uscita dell'ultimo lavoro) i nostri avrebbero avuto gioco facile a dare alle stampe una copia più o meno riuscita di quel disco. Lee e Leoni hanno invece deciso di virare verso le origini con un prodotto di sano hard rock melodico confezionato in modo assolutamente professionale e che, nonostante qualche inevitabile filler, è estremamente godibile nelle 14 tracce totali. Grande band: acquisto consigliato senza remore.

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