Gotthard "Need To Believe" (2009) Hard Rock 

9 sono i mesi necessare per trasformare un orgasmo nel vagito di un figlio, 24 le ore affinchè la Terra, oplà, faccia un giro su sé stessa, 4 i minuti per far sì che questi pastosi gnocchi surgelati si scongelinino e soddisfino il mio poco pretenzioso stomaco... 2 anni è invece il lasso di tempo che solitamente i Gotthard si prendono per sfornare un nuovo album e soprattutto creare tra i fans la giusta attesa che li invogli a comprare. Dopo "Lipservice" e "Domino Effect" ecco giungere in copertina nera questa manona che tiene ben salda una manciata di sassi: ovviamente incarnano la speranza, la necessità e il bisogno primordiale, teoricamente insito in ognuno di noi; quel qualcosa che non dovrebbe mai farci lasciare cadere quei cazzo di sassi perché non è mai troppo tardi per cominciare a credere. Oh Gesùùù che spremuta di luoghi comuni da puro diabete in “Need To Believe“.

Mi ergo a saccente. Sinceramente fatico a giustificare alcune recensioni scorse sul web che incensano quest’ultima fatica dei Gotthard come prova dell‘esistenza di Dio o quasi. Mi sembra un valido prodotto, paraculo come al solito nei cori e nelle melodie professionalmente create, suonato e cantato da musicisti di livello che non scopriamo oggi. Il panzuto chitarrista Leoni spazia tra arpeggi, riffing serrato e tapping per solos destinati ad incastrarsi nella mente e fare da contorno con intro e break alla voce del leader Steve Lee. Lo sa, il bastardo, di avere corde vocali ben superiori alla norma. Assieme a Lande lo considero il mio cantante hard rock preferito in attività. Con arroganza e fastidiosa facilità sfodera, narciso, estensione vocale penetrando nelle orecchie con toni bassi, sporchi e subito dopo ci delizia con crescendo imponenti e puliti dimostrando un controllo della sua ugola pressoché totale. Un hard rock ora più robusto, ora più facilotto e poppettaro per un bel pungo di canzoni sufficientemente varie e capaci di garantire un buon livello di attenzione da parte dell’ascoltatore. La discografia sterminata dei rockers svizzeri è da 20 anni questo e “Need To Believe“, per quanto rimandi più al passato che al recente, non giustifica a mio parere aggettivi sconvolgenti a meno che lo scribacchino di turno gli svizzeri li abbia conosciuti, come il 90% della gente, solo 2 album fa.

Originale quanto la trama di un film porno, un gol di Filippo Inzaghi, la smentita di Berlusconi ad una delle sue solite cazzate ovviamente comunisticamente travisate, “Need To Believe”, per quanto scontato, fa centro nel suo genere come quasi tutti gli album dei Gotthard. Senza strapparsi i capelli offre un’ora di musica ben scritta e piacevole. Lo dimostra il fatto che il cd gira dall’inizio di fine. Certo, ci sono alti e bassi, ma il livello qualitativo è oggettivamente molto omogeneo e se sei avezzo al genere non senti mai la necessità di alzarti per ghigliottinare un pezzo non particolarmente riuscito. Passiamo senza difficoltà dalla carta vetrata di “I Don’t Mind” con il suo diretto hard rock stradaiolo in puro crescendo anni ‘80, alla orientale “Shangri La”: un sinuoso ed altalenante brano con profusione di tastiere e backing vocals. Heavy oriented con riffoni che quasi fanno tremare le mura di casa in “Unspoken Words”, “Rebel Soul” e “Right From Wrong”. Tranquilli: se le orecchie si sono fatte male ecco miele e bende con “Tears To Cry”, “Need To Believe” e “Unconditional Faith” per le ballatone in puro stile Gotthard. Come ciliegina sulla torta il melanconico e possente mid tempo “I Know, You Know” che, lo ammetto, mi ha quasi fatto venire la pelle d’oca.

E’ un po’ come ai tempi d’oro dei Bulls. Gli allenatori avversari, i giocatori e le milioni di persone davanti alla tv sapevano perfettamente che la palla che scottava sarebbe finita nelle mani del 23. Non c’era sorpresa, ma la retina, porca di quella troia, si muoveva sempre quando contava. Con le dovute oceaniche distanze è lo stesso per i Gotthard: sono una certezza nel loro genere per la costanza qualitativa che hanno dimostrato in due decadi e fra due anni ci potete scommettere gli zebedei che torneranno con un altro album di livello come questo.

ilfreddo

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