Arriva sul palco ed è già uno spettacolo, Graham.

Con quegli occhiali spessi, quel modo di fare timido e impacciato; non guarda quasi mai il pubblico, Graham, inciampa sugli effetti, sbatte contro l'asta del microfono, si fa quasi cadere gli occhiali; poi gli scappano dei tic imbarazzati, qualche smorfia (ma è la timidezza o qualche droga pesante?!), pensi quasi: "ma che ci sta a fare lì?" Ti scappa un sorriso divertito a vederlo così fuori luogo, sembra più un impiegato della Citybank, piuttosto che un ex-rockstar ora solista di culto.

Poi attacca a suonare: il muro di suono che frastuona la Flog non è quello del pop dei Blur, lo senti subito; neanche gli ultimi fasti sperimentalistici di "13" gli assomigliano molto, e quando Graham attacca anche a cantare capisci che il linguaggio musicale che usa non è più molto inglese; qui la tradizione è quella di J. Mascis e dei Pavement, e anche un po' Jon Spencer; American Indie Rock a profusione, con quella voce così stonata, ma di quelle stonature che non disturbano, più un'attitudine che un errore, narcolettica e svogliata, e cosi piena di fascino "Slacker". Non che il nostro si sia completamente dimenticato la terra d'Albione e il fare mod di un tempo; quell'aria un po' naif un po' smaliziata, con quei tocchi di chitarra che non riescono a rifuggire una certa raffinatezza, sono indubbiamente inglesi. I brani migliori del concerto, però, sono quelli più vicini al Rock a stelle e strisce. Sono quelli rumorosi ma coincisi e strutturalmente poco inquadrabili ripresi dal primo album solista "The Sky is Too High", che nacque come divertissment, e che di conseguenza fu spontaneo e poco pretenzioso. "That's All I wanna Do" e "A Day is Far Too Long" ammaliano con una struttura irregolare, grossi cambi dinamici, suono grezzo e acido, senza mai dimenticare però una melodia vocale che si ripropone continuamente fra le sequenze di muro sonoro a feedback e distorsioni.

Quando Coxon cita i suoi due dischi successivi, "The Golden D" e "Crow Sit on The Blood Tree" invece riesce meno, troppo spesso impelagato in un rumorismo all'ingrosso con poca personalità; ma il nostro si è sempre dimostrato un songwriter piuttosto vario; così "Escape Song" e il finale pop/noise di "Freakin'Out" tornano a regalare emozioni, dimostrando che l'avvicinamento al pop degli ultimi due dei suoi cinque dischi non è stato solo un banale ritorno alle origini (dei Blur). In definitiva, un personaggio più che simpatico, il Coxon; uno di quegli autori poco citati e pompati dalla stampa, ma che sanno onestamente regalare dischi discreti, e sopratutto, in questo caso, spettacoli più che piacevoli.

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