L’hip-hop strumentale è un genere che riceve spesso giudizi contrastanti, a volte addirittura opposti. C’è chi sostiene che sia una musica “monca”, priva del rap e del fascino delle rime, e viceversa chi lo considera in maniera positiva, apprezzandone la capacità di valorizzare il suono e riempire i vuoti lasciati dall’assenza della parola.

Al di là delle scuole di pensiero, è evidente che l’instrumental hip-hop permette di caratterizzare i propri brani ed evitare ogni forzato adattamento allo stile dell’MC di turno. Questa ritrovata libertà si esprime nel desiderio di percorrere strade nuove, sentieri selvaggi dove il boom-bap e i 4/4 si mescolano con sonorità elettroniche, sperimentali, diverse da quelle tipiche della Doppia H.

Gli aspetti a cui abbiamo accennato li ritroviamo tutti in A Paroxysm of Excellence, EP pubblicato nel 1998 da Gravity, moniker dietro il quale si nasconde il DJ e producer svedese Kristjan Frederiksen. Di costui nulla sappiamo, a eccezione della provenienza (Göteborg, per la precisione) e del fatto che ha inciso singoli e compilation con altri pseudonimi (DJ Upperkut, Kristus).

Il nome di Frederiksen sarebbe scivolato nell’anonimato se non fosse intervenuto un certo DJ Krush. L’artista nipponico, infatti, inserisce due pezzi di A Paroxysm of Excellence nel suo mix Code 4109 (“Back to the Essence” e “What Is It…”), garantendo loro una visibilità che resta comunque relegata all’underground (per la cronaca Gravity non realizzerà mai un album e le sue tracce si perderanno praticamente nel nulla).

L’elemento più curioso dell’EP di Frederiksen è che non siamo davanti all’esordio di un misconosciuto beatmaker scandinavo, ma a un lavoro eccellente, inseribile tra le migliori produzioni del periodo.

La tecnica di Gravity è sopraffina e fin da subito capiamo di non trovarci di fronte a un novellino del campionatore, ma a un produttore esperto, consapevole degli strumenti a sua disposizione. Se dovessimo fare un nome, potremmo paragonare l’hip-hop minimale dello svedese al già citato Krush e tuttavia non riusciremmo a inquadrare completamente il suo sound, più aggressivo e claustrofobico di quello di Hideaki Ishii. L’aggressività si evince dalla scelta delle batterie, potenti e sporche al punto a giusto, e poi da quella dei campioni, che spaziano dal jazz all’elettronica astratta e conferiscono ai beat di A Paroxysm of Excellence toni oscuri, ipnotici, tendenti alla paranoia.

Parlavamo di sperimentazione e in effetti i due remix conclusivi si discostano da quanto sentito in precedenza, rivelando suggestive contaminazioni con i ritmi dell’epoca. “PMS (Mr. James Barth)” è un inquietante breakbeat dalle atmosfere cosmiche, mentre “Fleksibl (The Illectrician Remix)” alterna drum sincopate a pattern minimal-electro che ho trovato un po’ scarni (l’aggiunta di qualche altro “ingrediente” avrebbe senza dubbio migliorato la ricetta).

Al di là di questo piccolo calo, A Paroxysm of Excellence mantiene quasi tutte le promesse contenute nell’ambizioso titolo, presentandosi come un concentrato di energia che dimostra quanto l’hip-hop non si limiti al solo lato verbale, ma sia accompagnato da un'importante componente musicale contrassegnata da ricerca e impegno costanti.

Certo, resta il rammarico per non avere mai visto un full lenght di Gravity, ma poco importa: ci accontentiamo di questa entusiasmante esperienza d’ascolto.

Voto del DeRecensore: 4,5/5

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