"(A Ballad of) A Peaceful Man", uscito nel 1971, è il secondo album dei Gravy Train, band inglese formatasi nel 1970. Il gruppo era composto da Norman Barratt (chitarra e voce), da J. D. Hughes (tastiere, flauto, sax), Lester Williams (basso) e Barry Davenport (batteria).

La prima traccia dell' album è "Alone in Georgia" (4: 35) ed è una piccola perla, dalle atmosfere delicate grazie a dei sapienti arrangiamenti di violini, cori e flauto. Molto evocativo anche il cantato che nonostante la voce vigorosa di Barratt si miscela perfettamente alla musica. Senza dubbio una canzone che fa dello splendido ritornello il proprio punto di forza. Il pezzo si unisce alla title-track "(A Ballad Of) A Peaceful Man" (7: 06), che dopo un intro prudente che richiama l'inizio del disco con violini e flauto viene inasprito dalla chitarra distorta che urla sotto la potente voce di Barratt, che nelle parti più calme sa essere perfettamente in tema con la musica. Ottimi cori da "pelle d' oca" fanno risaltare il finale, lasciato all' orchestra. Rimaniamo su climi caldi e gentili con "Jule' s Delight" (6: 58), dove il cantante trova di nuovo modo di esprimere al meglio la propria voce con vocalizzi energici che portano alla parte centrale, dove troviamo un piacevole intermezzo primaverile di violini e flauto, rotto dal ritorno di Barratt.  Segue "Messenger" (5: 58), che si apre su ritmi più animati con dialoghi tra batteria e flauto, alla quale si aggiunge la chitarra e in seguito il cantato. Ottimo J. D. Hughes ai fiati che stende il tappeto per un potente assolo di Norman Barratt alle prese con le sei corde. "Can Anybody Hear Me" (2: 59) segue la strada tracciata dall' ultima canzone e sfodera un hard rock segnato dal riff insistito di chitarra copiato alla perfezione dal flauto. Terreno ideale per la voce di Barratt e un suo abbozzo di assolo all'elettrica. "Old Tin Box" (4: 45) si sposta su atmosfere più progressive, ma il gruppo si sa adeguare bene anche ad esse. Ne risulta una buona canzone, con saxofono e chitarra a scandire il ritmo. Segue "Won' t Talk about It" (3: 00), con la chitarra accompagnata per tutta la canzone dal flauto e dal cantato. Ne risulta un pezzo piuttosto hard, riempito da due discreti assoli del solito Norman Barratt. Si chiude con "Home Again" (3: 25) con flauto alla Ian Anderson e cori che si protraggono per tutta la durata della canzone sul ritmo scandito in maniera ripetitiva da Barry Davenport.

Nel complesso un disco molto bello per le prime tracce, che però cala di qualità nel finale. Ne consiglio l'ascolto ad ogni amante della musica anni '70, chissà che qualcuno non se ne innamori, come il sottoscritto…

Carico i commenti... con calma