Il credito accumulato dai Green Day dopo quell’incredibile colpo di coda che fu “American Idiot” è stato dilapidato sciaguratamente in pochi anni, con una trilogia di album assolutamente fuori fuoco e molto poco ispirata.

Divisi (come tante altre band) tra una frangia di fans che chiedono a gran voce un secco ritorno alle origini di dischi come “Dookie” e “Insomniac”, e un’altra che ha accettato ed assorbito il nuovo corso del trio statunitense, più impegnato ed ambizioso, quattro anni fa Billie Joe e soci hanno optato per un disco ibrido come “Revolution Radio”, e, bilanciando in maniera forse un po’ furbetta pezzi “tradizionali” a qualche passaggio meno scontato, hanno ritrovato un enorme successo centrando la numero uno sia negli Stati Uniti che in UK.

Adesso è il turno del tredicesimo album in studio “Father Of All Motherfuckers”, registrato nell’estate del 2019 e prodotto dalla band assieme a Butch Walker e Chris Dugan. Si tratta di un disco che qualche tempo fa sarebbe stato definito “urgente”: è il più breve nella discografia del combo statunitense (ventisei minuti scarsi), persino più breve del debut “39/Smooth”, ed è composto da dieci proiettili sonori che raramente superano i tre minuti di durata.

Ed è un gran bene, perché da tempo i Green Day non suonavano così diretti e divertiti: lo si evince già dalla titletrack posta in apertura, che funge anche da lead single. Armstrong si arrampica su inaspettati falsetti princiani, mentre la band snocciola un pezzaccio garage secco e deciso alla maniera dei migliori Black Keys. Non è da meno “Fire, Ready, Aim”, un minuto e cinquanta di puro cazzeggio alla The Hives.

“Oh Yeah!” è un episodio anomalo nel contesto del disco, a partire dall’insolito campionamento di “Do You Wanna Touch Me” di Joan Jett, ma si lascia ascoltare e cresce col passare degli ascolti; i Green Day fanno davvero i Green Day solo in un episodio (“Sugar Youth”, un bel rimando al sound di “American Idiot”), mentre per il resto snocciolano influenze glam, blues e sixties, suonando freschi e diretti come nella deliziosa “Stab You In The Heart” e solo raramente imbolsiti come in “I Was A Teenage Teenager” (ibrido Weezer / My Chemical Romance poco centrato) e “Junkies On A High” (fondamentalmente una sfortunata autocover di “Boulevard Of Broken Dreams”).

Chiude il miglior brano dell’album, ovvero “Graffitia”, sentito omaggio ai padri Clash di “I Fought The Law”.

Brano migliore: Graffitia

Elenco e tracce

01   Father Of All... (02:31)

02   Graffitia (03:19)

03   Fire, Ready, Aim (01:53)

04   Oh Yeah! (02:51)

05   Meet Me On The Roof (02:40)

06   I Was A Teenage Teenager (03:45)

07   Stab You In The Heart (02:10)

08   Sugar Youth (01:54)

09   Junkies On A High (03:06)

10   Take The Money And Crawl (02:09)

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