I Green Day sono la band con cui sono cresciuto. Tanti assumeranno un'espressione di disgusto, tanti alimenteranno le solite critiche basate sul genere (sono punk o non punk questi?), altri ancora avranno preso la loro posizione per partito preso; io il disco l'ho ascoltato attentamente, anche se con poche speranze visto le non proprio esaltanti tracce rilasciate prima dell'uscita.

Un disco nuovo dei Green Day è sempre atteso, nonostante le poche simpatie della gente che combatte una guerra quotidiana contro il mainstream. 70 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, in quasi 25 anni di carriera, sono un ottimo curriculum per la band californiana.

Il primo di una trilogia realizzata a seguito di 21st Century Breakdown (2009), che ebbe un successo modesto se paragonato ad American Idiot, Uno! è probabilmente uno dei più brutti dischi del gruppo. Il ritorno in cabina di regia di Rob Cavallo (chairman della Warner), produttore di quasi tutta la discografia dei Green Day, doveva contribuire a dare un sound più equilibrato e meno plastico di quello del predecessore; il risultato è una produzione che, per ridare voce a tutti gli strumenti, penalizza le chitarre, ridotte ad un ruolo scialbo e marginale, quasi Billie Joe si fosse dimenticato di attaccare il distorsore.

"Nuclear Family" pare, in verità, un buon inizio. I soliti tre power-chords rimischiati e un assolo modellato su quelli dei primi dischi, periodo in cui il gruppo suonava ancora per i baretti di San Francisco. Le tracce successive potrebbero, al contrario, essere bonus track delle bonus track di Nimrod: "Stay The Night" si apre con un intro imbarazzante per sfociare poi in un nulla di fatto. "Carpe Diem" è una ridicola cozzaglia di cliché, strumentali e lirici, con la pietra grave dell'autocitazionismo che pesa sulla testa (cfr. "Suffocate"); con "Let Yourself Go" ti pare di avere di fronte Billie Joe che urla la f-word ogni due parole con l'intento di incitare i teenagers a far festa; "Kill The Dj" è stucchevole.

Quel che poi traspare da questo disco oltre alla scarsa creatività nella parte strumentale è il livello (infimo) di qualità dei testi. Il singolo (flop dappertutto tranne qui in Italia) "Oh Love" è costruito con un riff ridicolo di chitarra e un testo da prima elementare, senza parlare del video.

La seconda parte del CD è in verità migliore, ma le accettabili "Fell For You", la curiosa "Troublemaker" che forse è l'episodio degno di nota, la concitata "Angel Blue" e la nostalgica "Rusty James" non sono sufficienti a sollevare le sorti di un disco inconcludente e mediocre, che rimpiange persino il precedente.

5.0/10

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