To my God, hear me now, give me strength to be brave
Through the heat and the smoke, there's but little to save
The fires raged on throughout the night, and now through the day
Many deaths have been tolled, now the price must be paid

E’ con questa invocazione che inizia “Hawk the Slayer”, la prima di nove mazzate di heavy metal puro ed incontaminato.

Sepolti dalle sabbie del tempo ed appartenenti ad un’epoca ormai lontana, i primi anni ottanta, i Griffin fanno parte della schiera di borchiati che praticavano il culto del metallo pesante sul suolo americano, che si era dimostrato terreno fertile per queste sonorità nate sotto la spinta della NWOBHM. Sebbene nelle loro canzoni si possano trovare atmosfere epiche e battagliere i critici non li associano ai gruppi epic metal, tra i quali è bene ricordare spiccano i Cirith Ungol, i Manilla Road ed anche quei tamarri dei Manowar, forse in virtù del fatto che a ritmi marziali e rocciosi preferissero composizioni più veloci e dirette, più in linea con quello che sarebbe poi diventato il power metal americano (o US power se preferite), cioè una forma di heavy metal rinvigorito e vitaminizzato per il quale il termine power ha significato, a differenza di quel che verrà fuori in Europa nel decennio successivo, dove tra elfi e unicorni forse sarebbe più appropriato il nome di flower metal. Comunque il paragone con gruppi come gli Omen è decisamente azzeccato ed i Griffin hanno ben poco da invidiare a nomi ben più blasonati.

Per accorgersene è sufficiente ascoltare il loro album d’esordio, “Flight of the Griffin” del 1984, un piccolo gioiello dimenticato di heavy metal diretto e sincero, con composizioni senza fronzoli che colpiscono dritte al bersaglio e allo stesso tempo non risultano banali perché scevre da quella pomposità fine a se stessa che mortificherà il genere negli anni a venire. Abbiamo quindi veri e propri inni di battaglia, come “Heavy Metal Attack”, che si alternano con momenti molto più carichi di pathos, su tutti la semi-ballad che porta lo stesso nome del disco, ma sempre tutti caratterizzati da quel sapore anni ottanta che fa un po’ vecchio e retrò, ma che non guasta di certo. Il Grifone quindi ha dimostrato di saper graffiare a fondo e che i suoi artigli lasciano il segno.

Purtroppo il seguito “Protectors of the Lair” non ha mantenuto le promesse, forse anche a causa dell’abbandono del chitarrista Mike “Yaz” Jastremski che raggiunse gli Heathen come bassista. Sarà un caso che in “Breaking the Silence” vi sono canzoni come “Goblin’s Blade”, ovvero tra le più epiche che il thrash ricordi?

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