La vicenda è liberamente ispirata alla morte di Kurt Cobain, leader dei Nirvana, suicidatosi nell'aprile del 1994 nella sua villa di Seattle, e trovato pochi giorni dopo. L'azione del film si svolge quasi completamente in questa villa, casa di Blake e rifugio di alcuni suoi ‘amici', un posto immerso nella natura, lontano dal mondo esterno e dalla vita quotidiana.

La necessità di nascondersi deriva dal fatto che questi personaggi sono ‘diversi', e ‘diverso' è anche Blake. All'inizio del film e per tutta la sua durata, egli è in fuga dal centro di disintossicazione in cui si trovava, ma la sua non è una semplice fuga. La sua appare piuttosto come una volontaria estraneazione dalla storia, un voler cancellare da sé la propria esistenza esteriore alla riscoperta di una dimenticata dimensione intima e naturale. Ma ritornando a casa sua, Blake la trova appunto occupata da strani personaggi, che si dicono suoi amici, ognuno dei quali alienato nelle sue debolezze. Per questo motivo, Blake non trova in essi nessun conforto e nessuna consolazione, e loro stessi sembrano quasi non vedere Blake, se non per ricavarne qualche cosa di materiale, come soldi o lo spunto per una canzone. L'indifferenza umana sembra rispecchiarsi anche nel mondo naturale, che avvolge Blake con tutta la sua bellezza e potenza, ma che non offre nessuna via di scampo né alcun effetto consolatorio. Eppure c'è qualcuno a cui importa l'esistenza di Blake. C'è qualcuno che lo cerca e che ha già capito le sue intenzioni. C'è sua moglie che assume appositamente un investigatore privato, e c'è la responsabile del centro di recupero, la cui presenza premonitrice raggiunge la sua efficacia grazie all'interpretazione di Kim Gordon, la cui partecipazione ai reali fatti ai quali il film si ispira, conferisce grande suggestione all'ammonizione che rivolge a Blake: "chiedi mai scusa a tua figlia per esser diventato un clichè del punk-rock?"....

Ma nemmeno il ricordo dei suoi affetti riesce a cambiare le intenzioni di Blake, tutto teso nella volontà di rimanere fedele a se stesso, alla sua ‘diversità', alla sua identità, anche a costo di annullarla. Per Blake, un ritorno al mondo, alla realtà, significa necessariamente uno scendere a compromessi con dei meccanismi estranei alla sua natura, violata, come casa sua, da gente interessata all'utile. Per questo, decide di uccidersi, lontano da tutti. Ed anche se la sua scelta non appare così lucida, effettivamente, da ciò che traspare nel film, nessuno fa davvero qualcosa per impedirla. Il destino di Blake sembra segnato da un fato inderogabile. Da questo punto di vista, assai suggestiva è la conclusione, in cui il corpo di Blake viene ritrovato e portato via, quasi per archiviare la cosa, l'indifferenza per la quale è sottolineata da un vivace sottofondo di musica classica. E mentre i telegiornali danno la notizia, gli ‘amici' di Blake pensano solo a fuggire, ancora, per paura di essere accusati e per sfuggire al loro stesso senso di colpa.

In complesso, Van Sant ci offre una personalissima interpretazione della vicenda di un personaggio su cui sarebbe stato assai facile speculare, la cui morte oltre a lasciare un vuoto profondo, è paradigma assoluto della universale solitudine dell'uomo, che si trova spesso da solo a fare i conti col proprio destino. In quest'ottica, il suicidio appare come unica possibilità di operare una scelta davvero consapevole, e in quanto tale, atto estremo di libertà. Sarebbe troppo facile ora cedere alla tentazione di inserire aneddoti su quei giorni, per noi oscuri, della vita di Cobain. Non mi sembra giusto entrare anche in questo. Sugli ultimi giorni della sua vita mi piace solo pensare che dovette sentirsi finalmente libero e incosciente, come il sogno di rock ‘n roll per il quale visse la sua breve vita.

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