"Tot capita, tot sententiae"

"Proprio un bel nome". Questo è stato pressappoco il mio primo pensiero quando ho saputo dell'esistenza di questo gruppo irlandese, che ha recentemente pubblicato il suo primo album omonimo per l'etichetta Rough Trade.
Le recensioni che avevo letto, inoltre, descrivevano la loro musica come positiva, solare, limpida, capace di mostrare lampanti riferimenti a correnti musicali che, dai Beach Boys in poi, hanno attraversato gli anni ’70. A ciò si aggiunga una sfilza di critiche praticamente unanimi nel salutare positivamente l’ingresso nel mondo discografico di questi quattro ragazzi di Dublino. "Tutto molto interessante" è stato il secondo pensiero, che mi ha spinto all’inesorabile caccia al disco, senza averne ascoltato una sola nota.
Però, se la denominazione può essere paragonata ad un abito, allora possiamo rifarci alla tradizione popolare ricordando che non fa il monaco. Quindi diciamo subito che, oltre il nome, di bello non ho trovato altro in questo disco. Semmai sono stato colpito negativamente dal fatto che su undici brani non sono riuscito a trovare il piacere dell’ascolto nemmeno in uno di essi. Ho avuto l’impressione che fossero tutti più o meno banali, piatti, convenzionali, scialbi, scontati, in una parola mediocri. I musicisti si presentano bene, hanno riferimenti importanti, sanno anche suonare per carità, in più gli arrangiamenti sono molto articolati e curati, ma mancano le idee, lo spessore.
Questi Dublinesi non hanno spontaneità e tutto il loro ottimismo musicale mi sembra vero quanto la lira padana. Non riescono a trasmettere, secondo me, il valore di positiva leggerezza del pop. Infatti, ho trovato nella loro musica solo una ripetizione ben fatta, ma estremamente ruffiana, di forme e schemi abusati. Molta apparenza e poca sostanza in sintesi.

L’ascolto è un continuo ed estenuante déjà vu, spesso più fastidioso che evocativo. Ad esempio, certe voci nasali, balordi coretti e ritornelli in falsetto, da una parte, mi ricordavano i momenti più kitsch dei Supertramp, che mi illudevo d’aver dimenticato, dall’altra mi provocavano una reazione allergica da shock anafilattico. In altri momenti l’influenza dei Beatles appare evidente, però solo come un pallido riflesso della loro incredibile immediatezza. In breve, per loro troverei perfetta la classificazione nel genere "lagna-pop-ruffiano".
Nonostante la loro musica non mi dica niente, chiaramente questo disco può piacere ed anche molto, come dimostra l’ampia benevolenza della critica nei suoi confronti, ma io in tutta sincerità non ne capisco la ragione. Dalle mie parti si dice "zentu cabbi, zentu berretti" , mentre "tot capita, tot sententiae" dicevano i latini, ma il concetto è sempre lo stesso: tante teste, tante opinioni.
Allora l’unico consiglio che vi lascio è di ascoltare qualcosa prima di comprarlo, perchè la morale della favola è: non fidatevi troppo delle recensioni, nemmeno di questa.

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