La bellissima foto di copertina che coglie un paesaggio sorprendentemente monocromatico, quasi irreale ma invece possibile presso i caldi e fumanti laghi vulcanici d'Islanda, introduce spettacolarmente il terzo album, datato 1995, degli Harem Scarem, quartetto canadese di grande talento non supportato da adeguato successo internazionale. Il gruppo si è, purtroppo, recentemente sciolto dopo aver tenuto botta per una ventina d'anni e una dozzina di album, grazie soprattutto ai forti riscontri venuti dal Giappone, oltre che ovviamente dalla madrepatria.

Se la loro carriera fosse iniziata solo pochi anni prima (il disco d'esordio risale al 1991), avrebbero sicuramente passato alcuni anni di grande gloria, prima di essere comunque spazzati via dagli allegroni in camicia di flanella e dall'inaudito voltafaccia operato dalle major discografiche verso tutto il rock classico, esclusi pochi superbig (Aerosmith, Bon Jovi, Guns&Roses, Metallica).

Com'è tipico per le formazioni canadesi, c'è una buona dose di vecchia Europa nel suono degli Harem Scarem, pur restando eminentemente americano. Più specificatamente, questo richiamo ispirativo al rock delle nostre parti ha un preciso nome di riferimento: Queen. Del celeberrimo quartetto londinese vengono però completamente tralasciati tutti quegli aspetti decadenti, kitsch, eccessivi e ruffiani dovuti alla particolarissima personalità del geniale, ma debordante Freddie Mercury. L'ispirazione riguarda invece aspetti più strettamente musicali e tecnici, quali l'impostazione drammatica e appassionata del canto (pur se il timbro vocale di Harry Hess, più rauco, è completamente differente da quello di Freddie), l'uso complesso e stratificato dei cori, il suono rotondo, compresso e distortissimo della chitarra solista, facile alle note acute ed agilissima nelle mani di Pete Lesperance quanto e più di quella di Brian May.

Niente concessioni quindi alla dance e al pop, men che meno all'operetta o al musical. Il rock degli Harem Scarem è compatto e intenso, un quasi heavy metal rumoroso e teso ma pieno di melodia con l'aggiunta, nell'occasione, di una certa voglia di grunge nell'accompagnamento di chitarra, non si sa se per adeguarsi ai tempi o per effettivo interesse per i nuovi suoni decisamente di moda in quegli anni. Lesperance in sostanza abbassa l'accordatura del suo strumento e indugia in suoni ritmici più espansi e "slabbrati", propri della scuola di Seattle, allontanandosi dai timbri mediosi e precisi dell'A.O.R più classico a cui riconducevano i primi due dischi del gruppo.

Fra le undici canzoni in scaletta le mie preferenze vanno innanzitutto a "Blue", che alterna fasi belle pestone a strofe di limpidissima melodia; al centro di essa vi è poi un sensazionale assolo del chitarrista, il migliore fra i tanti che costellano il disco, virtuoso ma melodicissimo, vera canzone dentro la canzone. Mi piace poi molto "Let It Go", una ballata introdotta da un liquido arpeggio dal suono particolare e suggestivo e che poi raggiunge il suo climax intensificando via via le stratificazioni di chitarre e le partiture vocali. Un poco ostico, ma bello a lungo andare pure il brano iniziale che intitola il lavoro. Ben riuscito anche il finale costituito da "Necessary Evil ", cantata col cuore in mano dall'ottimo Harry Hess.

Negli anni novanta il rock ha, a mio modo di vedere, rallentato parecchio in quanto ad ispirazione, varietà, novità e genio, ma gli Harem Scarem sono stati fra quelli che hanno dato una mano a non considerare quella decade così tanto meno interessante musicalmente rispetto alle precedenti. In Italia sono pochissimo conosciuti, ma si può sempre rimediare, essendo i loro lavori a disposizione in rete o nelle rivendite di dischi meglio attrezzate. Ce ne sono di più o meno riusciti, naturalmente, e di questo disco in particolare si può dire che sia nella media, né il migliore né il peggiore della loro carriera, ma in tutti affiora l'indubbia classe e perizia musicale del quartetto, ben coeso e privo di qualsiasi posa sbruffona o tamarra, rispettoso dei vari Beatles, Zeppelin, Queen, Kiss ed altri da cui hanno attinto con passione e intelligenza, per formulare a loro volta un certo loro suono ed un riconoscibile stile.

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