Non mi stupisco che su Debaser esista una sola recensione su Harold Budd, ma non per questo mi sento sollevato. Questo artista americano di grandissima levatura nella storia della musica contemporanea è sempre rimasto marginale agli occhi dei più... vuoi perchè effettivamente di carattere schivo, vuoi perchè fautore di una linea sonora molto personale; però non credo che ciò giustifichi una considerazione rimasta a livello di critica e di addetti ai lavori. E dire che Budd ha inciso dischi con una miriade di artisti molto noti (da Brian Eno a John Foxx), dando un contributo notevole a varie aree culturali.

"Lovely Thunder" è un album del 1986, che prosegue un discorso iniziato col leggendario "Pavilion Of Dreams" e consolida le basi del Budd-pensiero attraverso gli stilemi a lui più consoni: pianoforti elettrici di grande delicatezza, atmosfere sognanti, melodie rarefatte immerse in mantelli liquidi di tastiere. Un tratto emotivo molto vicino a quello dell'ambient di Eno, ma pervaso di un'intimità discreta che rispecchia pienamente la personalità del suo autore.

Budd (classe 1937) ha sempre dichiarato di non sentirsi il genio che hanno descritto e nelle sue peregrinazioni in sala di registrazione ha avvicinato con umiltà molti colleghi illustri. La sua musica è il tratto onirico e pudico di un approccio col mondo vissuto interiormente e con stupore, senza pregiudizi e senza esaltazioni. I primi brani di questo disco tracciano sentieri ancestrali che sfiorano l'acqua in punta di piedi e narrano favole affascinanti di luoghi che potrebbero stare nel nostro cuore o davanti agli occhi di un bambino alieno. Non a caso, tra l'altro, le cascate vibranti di tracce come "Sandtreader" o "Ice Floes In Eden" riecheggiano anche nell'album a quattro che Budd registrò quello stesso anno coi Cocteau Twins: quel "The Moon And The Melodies" che mescola le suggestioni del dream-pop di matrice 4AD con i tessuti sonori dei pianoforti elaborati con massicce dosi di chorus.

La seconda parte dell'album (all'epoca il lato B) è invece occupata da un unico brano della durata di oltre 20 minuti. "Gipsy Violin" il titolo: un titolo che dice tutto e niente, giacchè non ha legami apparenti nè con i gitani nè con il violino... ma riempie la mente di paesaggi ora rilassanto ora inquitanti, diventando più aderente nelle aspettative al titolo dell'album che a quello del brano stesso. Tra sottofondi oceanici di sentori preistorici e svisate dal sapore esoterico, la lunga suite resta sospesa nell'etere creando un filo di suspence che abbandona ogni genere per farsi musica e basta, nell'accezione più astratta del termine.

Certo non si può parlare di new-age, come qualcuno ha fatto scrivendo di Harold Budd. I contenuti e le motivazioni di opere come questa sono lontani da ogni accademia e da ogni moda. Qui piuttosto ci sono tutte le essenze della musica ambient tout-court, vissuta per l'appunto con un istinto intimistico che racconta il suo autore senza compiacimenti. Romantiscismo e inquietudine si mescolano insieme manifestando un gioiello sonoro prezioso.

Elenco tracce e video

01   The Gunfighter (03:18)

02   Sandtreader (05:33)

03   Ice Floes in Eden (03:28)

04   Olancha Farewell (02:18)

05   Flowered Knife Shadows (For Simon Raymonde) (07:15)

06   Valse pour le fin du temps (04:50)

07   Gypsy Violin (20:49)

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