Aspettavo questo giorno da settimane: il giorno in cui mi sarei svegliato e avrei ascoltato il nuovo album di Hatchie, al secolo Harriette Pilbeam. Australiana, classe'93, questa cantautrice è un'alfiera del Dream pop con echi Shoegaze giunto a noi sin dagli anni Novanta; forse non raggiunge le vette dei sommi maestri Beach House, ma ha saputo ritagliarsi uno spazio di lusso con una proposta nel complesso meno algida e più teporosa e intimistica. Sognare si sogna sempre, ma in modo diverso.

Laddove i due album precedenti mostravano molte idee interessanti ma talvolta anche abbastanza confuse, Liquorice è un'opera molto più coerente e compatta. Quello che posso dirvi è che, dopo un'intro piuttosto lunga e consapevolmente sciapa, in modo da proiettare al resto, e due brani non esaltanti, da Carousel in poi prende il via un viaggio in un Dream pop favoloso, caloroso, molto zuccherino ma con alcune punte agrodolci, rigoglioso come una pianta dell'Eden, con piccole, sapienti variazioni, un Dream pop che parla di amore ma anche di cuore e sole. Le influenze di Hatchie sono sempre chiare e presenti, dai My Bloody Valentine fino a una band contemporanea come gli ottimi Alvvays (Anchor) e a Carly Rae Jepsen, anche se i brani talvolta presentano un'anima rockeggiante - Wonder - o vagamente punk - la conclusiva Stuck. Vi consiglio caldamente di ascoltare l'album con un paio di buone cuffie: sarà come entrare in un vortice di fragole, panna e, perché no, liquirizia, mentre assistiamo a un altro, ennesimo tramonto d'autunno, o forse d'estate. Ma le parole non fanno molta giustizia.

A parer mio, il capolavoro della giovin signora Pilbeam, nonché uno dei lavori più riusciti di questo 2025 che volge al termine; un ascolto obbligato se vi piacciono queste sonorità, nonché, finalmente, una cosa bella dopo quella tinozza di vomito di pesudofilm. A parte l'incipit, quasi perfetta... o forse perfetta proprio per questo?

Alla prossima.

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