Erik Rutan brama di salire sul trono del death metal, desidera ardentemente innalzare i suoi Hate Eternal al di sopra di tutti gli altri gruppi del genere. D’altronde il fatto di chiamare i propri album “Conquering the Throne”, “King of All Kings” e “I, Monarch” è già di per se un’esplicita dichiarazione di intenti ed è inutile che nelle interviste dica che sceglie titoli del genere in quanto si considera re del suo mondo o cose simili, tanto non ci crede nessuno. Tra l’altro il suo desiderio è più che legittimo, visto che alla causa del death metal ha dato tanto, prima con i thrashosi Ripping Corpse e poi nella corte dei Morbid Angel, non dimentichiamoci infatti che in “Domination” buona parte delle canzoni portano anche la sua firma.

Il fatto però è che non è un’impresa facile conquistare il trono e gli Hate Eternal non ne sono mai stati in grado. Partiti in maniera abbastanza convincente proprio con l’album “Conquering the Throne”, che però non faceva urlare al miracolo nonostante la soffocante collaborazione di Doug Cerrito, hanno messo a segno finalmente un colpo valido con il terzo “I, Monarch”; ma vincere una battaglia non vuol dire vincere la guerra e infatti nel successivo “Fury and Flames” sono tornati a scrivere canzoni troppo monolitiche e tutte uguali ottenendo come risultato un indigesto polpettone brutal death metal prodotto malissimo, dallo stesso Rutan tra l’altro.

E così si giunge infine a questo “Phoenix Amongst the Ashes”, ed anche qui il titolo parla chiaro: il gruppo vuole risorgere dalle ceneri di “Fury and Flames” per tornare a risplendere come in “I, Monarch”. Per far tutto ciò Rutan ha deciso di cambiare approccio e i risultati gli danno ragione. Messa da parte l’estenuante compattezza che ha sempre penalizzato la sua creatura con canzoni sparate a velocità folle ma tutte noiosamente indistinguibili tra loro, il buon Erik ha deciso di rallentare i tempi d’esecuzione (rispetto a prima, non in senso assoluto!) e di creare tracce un po’ più cadenzate e marziali, nelle quali rispuntano quelle melodie malate che solamente a sentirle fanno venir in mente quel misto di verde fosforescente e viola alla Cillit Bang della copertina della lettera D dei maestri floridiani. Un album con le radici salde nell’old school e lo sguardo rivolto al presente (e al futuro), una sorta di “Domination” più brutal.

Quindi il sogno di Erik Rutan si fa sempre più vicino e, nel caso gli Hate Eternal si riconfermassero su questi livelli, conquistare l’agognato trono non sarebbe più un’utopia, considerando anche il fatto che l’indimenticato Chuck ci ha lasciati e che i Morbid Angel si sono ridotti ad un’autoparodia di se stessi.

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