Il problema vero è che mi sto accorgendo di aver perso tutte le coordinate. Qualche anno fa c'era il "tizio delle suonerie" che promuoveva giorno e notte la suoneria del tormentone trash "Materazzi è caduto" all'indomani della vittoria dei Mondiali e in men che non si dica me lo rivedo lì su una spiaggia della Liguria un po' appesantito e con un insospettabile pizzetto nero con famiglia al seguito: ma quanti fottuti anni sono passati nel mentre? Lo avevano massacrato di minacce e denunce quel povero Cristo per aver recitato una parte che alla fine era un lavoro come un altro, e alla fine, quasi vent'anni dopo te lo ritrovi lì, tranquillo e beato mentre prende il sole con l'aspetto di un uomo qualunque che sta a contemplare la placida bellezza della sua mezza età.
Io in fondo quegli anni li rimpiango un po' perché il Web stava prendendo piede ma tutto sembrava una giungla in cui doversi districare per trovare qualsiasi cosa e WinMX era il mio dio che puntualmente, dopo ore, se non giorni, di fibrillante attesa, mi recapitava a casa il più improbabile dei B-movie polacchi quando cercavo l'ultimo capolavoro di Jenna Jameson e per lineare contrappasso, quando provavo a curare i miei interessi di giovane cineasta cercando qualche inchiavabile pellicola in versione originale di Tarkovskij, mi omaggiava del più sudaticcio dei porno gonzo di qualche produzione americana a basso costo. Ora si trova tutto su tutte le piattaforme disponibili e li vedi lì in giro quei rincoglioniti della generazione Z che alla domanda: "Ma che musica ascolti?" ti rispondono sistematicamente: "Ma sì, non ho un genere in particolare: ascolto un po' tutta la musica" e poi scopri che non sanno chi era Zappa e poi "Sì, Bob Dylan è un poeta" ma se chiedi una canzone che sia una, fanno scena muta per tornare ai soliti feed su Instagram dove la musica di sottofondo è l'ultima minchiata di Dua Lipa mentre si danno un tono di fronte ai loro cocktail dove non saprebbero distinguere un vermouth da un triple sec.
Il loro vate è il dio cazzeggio, un essere mitologico che ha la testa a forma di Frank Matano e il corpo sagomato sul modello di un qualsiasi youtuber che va in giro provando le catene di fast food e atteggiandosi a gran critico culinario della gran fava di fuca: l'importante è mettere il tag #foodporn quando occorre e fare una carbonara bella cremosa - santa miseria, avete rotto il cazzo con quelle uova fluorescenti - necessariamente col guanciale croccante sopra.
Dico la verità: io non ricordo bene tutti gli dei della mia infanzia, né voglio fare la parte di quello che dice che si stava meglio quando si stava peggio, ma mi son sempre chiesto come sarebbe stato vivere ai tempi di Robert Calvert, uno che la parte del vate la faceva davvero ed è stato uno dei pochi negli anni '70 ad interpretare la rivoluzione culturale come una sapiente miscela dove letteratura e scienza avrebbero usato il tramite della musica per raggiungere le masse. È stato lui il deus ex machina degli Hawkwind dello "Space Ritual", l'iniziatore della dimensione più intellettuale degli alfieri dello space rock britannico, con una serie di dischi, a dire il vero, non sempre perfettamente riusciti, ma eccentrici e centrifughi come l'arte dei grandi geni della storia del Novecento. A parte il mastodontico e sfinente "rituale spaziale" di cui sopra, limitatamente alla sua carriera negli Hawkwind, le cose migliori Bob le ha cantate certamente in "Quark, Strangeness and Charm", uno dei dischi della maturità dove è tutto un rimando semiocculto a tematiche scientifiche rilette in chiave romanzesca e profeticamente cyberpunk. Ora è chiaro che gran parte del lavoro sporco lo fa il solito Dave Brock tra chitarre e sintetizzatori coadiuvato dal recente acquisto House alle tastiere: la longa manus su composizione e leadership del gruppo, alla pari di un Fripp in grado di tener viva la leggenda dei King Crimson per più di cinquant'anni, è l'elemento imprescindibile in grado puntualmente di avvalorare l'opera dei viaggiatori spaziali del pianeta Terra. È chiaro, quindi, che Calvert non faccia la parte del libero battitore come nei precedenti lavori solisti, ma sembra evidente l'inversione di rotta rispetto alle lunghe cavalcate prevalentemente strumentali di "In Search of Space" e "Doremi Fasol Latido", a favore di una più verbale - e non verbosa - forma cantata dove lo space rock diventa tematica non solo più musicale ma anche letteraria. Ora quella "Spirit of the Age" è già alfa e omega dell'album, giacché tra storie di ibernazioni improbabili e inquietanti clonazioni il senso di tutto è proprio lì, nel prendere coscienza dello "spirito dell'età" che ha dimenticato o fa finta di dimenticare la fallimentare genesi del genere umano (la meravigliosa litania di "Fable of a Failed Race) e ammicca al consumismo materiale che si fa beffe delle speculazioni scientifiche di Einstein e Galileo ("Quark, Strangeness and Charm"). Ora la forza di Calvert e degli Hawkwind è il fatto di aver capito che gli anni '70, una volta smaltite le ubriacature psych e spaziali dei esordi, stanno chiedendo a gran voce di dissetare le ardenti fauci delle masse con una bella colata di pop-rock (contaminato invero da roride venature proto-punk) per diffondere ai quattro venti le profezie del nuovo millennio, per cui "Quark, Strangeness and Charm" sfrutta la strada in discesa della canzone pop per far breccia nel variegato uditorio dei seventies. Ora nel suo concionare con inattesa leggerezza di fisica delle particelle e clonazione, Bob Calvert sarebbe oggi il mio dio ideale, perché delle particelle elementari gliene frega il giusto o fa finta di farlo intendere, ed alla fine è tutta una questione di mancanza di "strangeness and charm" se Einstein non rimorchiò a dovere in vita sua, prima che Sheldon Glashow trovasse davvero un "fascino" nel modo in cui certi Quark si dispongono simmetricamente e che Gell-Mann trovasse qualcosa di profondamente "strano" nelle coppie di particelle con una vita estremamente lunga.
Ora se da qualche anno a questa parte ho completamente perso le coordinate, la colpa è anche di Bob e degli Hawkwind, perché sono fermo allo spirito dell'età e ogni volta che accendo la tv sono puntualmente in arretrato di qualche decina di punture di botox in più sui conduttori di talk-show, aspetto ancora la sigla dell'Almanacco del Giorno Dopo e non ho ancora capito che cazzo è l'Eurovision. E soprattutto oggi come allora, aspetto ancora che sbuchi dal nulla il tizio delle suonerie dicendomi che se invio un SMS col codice 69 al 48248, mi mandano in esclusiva la suoneria in versione dance di "Spirit of the Age".
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