Mi sono interessato a Wulf Zendik dopo avere ascoltato i suoi dischi. Su di lui vi sono informazioni frammentarie, ognuna di queste registrazioni - praticamente “clandestine” - è difficile da catalogare e in generale non vi sono molte informazioni su Zendik. Voglio dire che per sapere veramente qualche cosa su chi fosse veramente Wulf Zendik dovrete impegnarvi in un vero e proprio lavoro di ricerca.

Comunque l’idea che mi ero fatto all’inizio, dopo avere saputo anche della Zendik Farm, la sua “comunità” di artisti fondata alla fine degli anni sessanta, ho pensato di trattasse di una specie di “santone” new age, una specie di guru. Poi ho incrociato alcune informazioni contraddittorie sul suo conto, su sua moglie Arol e la Zendik Farm in generale e che mi hanno interessato e spinto ancora di più a documentarmi al riguardo.

È stato a questo punto che ho incrociato la mia ricerca con il lavoro di Helen Zuman . Originaria di Brooklyn, New York, Helen è una artista laureata in scultura all’università di Harvard e una scrittrice. Dal 1999 al 2004, praticamente cinque anni, è stata un membro della Zendik Farm. Una esperienza che ha sicuramente segnato la sua esistenza anche in maniera dolorosa e che ha poi ricostruito e rielaborato successivamente. Il suo lavoro di ricerca su se stessa e di elaborazione costituisce intanto qualche cosa di unico tra tutti gli ex appartenenti alla Zendik Farm (una esperienza terminata definitivamente nel 2012), voglio dire che nessuno ha compiuto o comunque divulgato un lavoro così dettagliato quanto lei; ma questo costituisce in verità qualche cosa di più ampio, perché le sue riflessioni e considerazioni relative la sua esperienza sono qualche cosa che trascende l’aspetto personale e contestuale e che si può allargare a quelle che sono dinamiche e comportamenti tipici che sono un qualche maniera riproposti in qualsiasi contesto e “circuito chiuso” oppure "tribù".

Tutto questo lavoro è culminato nel caso di Helen, che oggi vive con suo marito tra Beacon, New York e Black Mountain nella North Carolina, nella realizzazione e prossima pubblicazione di un libro intitolato "Mating In Captivity". Un vero e proprio memoir che sarà pubblicato il prossimo 8 maggio 2018 dalla She Writes Press (e che potete trovare qui: https://www.amazon.com/Mating-Captivity-Memoir-Helen-Zuman/dp/1631523376/).

Per Helen (sito ufficiale: http://helenzuman.com/) che ha ricostruito dopo quegli anni la intera esistenza e ha ricominciato la sua vita da zero, aprendosi letteralmente al mondo ma senza rinnegare il suo passato e tenendo fede a quei principi ideali cui ha sempre considerato centrali nel suo pensiero, questo libro ha chiaramente un significato molto importante e che va al di là di quella soddisfazione che riguarda il compimento di un’opera letteraria.

Ho avuto la fortuna di incontrarla e conoscerla con questa intervista via e-mail in cui Helen ha risposto "generosamente" a tutte le mie lunghissime e curiose domande.

Come sempre riporto l'intervista sia in lingua italiana che la versione "originale" in lingua inglese.

Non posso aggiungere altro a questo punto che ringraziarla per la cortesia e la grande simpatia e augurarle un grosso in bocca al lupo per la pubblicazione e in generale per la sua attività come scrittrice e la prosecuzione del suo percorso di crescita spirituale e umano.

Buona lettura.

"Vining through the ruins, human ties remain."

1. Ciao Helen. Per prima cosa voglio sinceramente ringraziarti per aver accettato di rispondere a questa intervista. Parleremo di una realtà che è probabilmente in qualche modo popolare e riconosciuta negli USA ma di cui non sappiamo assolutamente nulla qui in Italia, quindi ti prego di capire e eventualmente correggere quelle che potrebbero essere delle imprecisioni. Cominciamo. Hai vissuto in una "Zendik Farm" dal 1999 al 2004. In pratica la tua esperienza è cominciata pochi mesi dopo la morte di Wulf Zendik. Quindi in quel momento la figura principale di riferimento era sua moglie Arol e credo abbia continuato a esserlo fino alla sua morte nel 2012. Ma parliamo della tua esperienza diretta ovviamente. Era il 1999. Quanti anni avevi? Eri un'artista? Perché in quel momento hai deciso di diventare una Zendik? Immagino del resto fossero già note alcune delle critiche principali rivolte a Zendik. Nessuno ha cercato di scoraggiarti dal prendere questa scelta? La tua famiglia, i tuoi amici? Quali sono state le loro reazioni?

HZ. Avevo 22 anni quando sono entrata a far parte della comunità Zendik. Sì, ero un'artista - sono sempre stata interessata e impegnata nella realizzazione di arti visive sin da quando ero bambina e sono laureata in arte ad Harvard. Allo stesso tempo sono sempre stata interessata alla scrittura, ma a quel tempo non avevo ancora trovato il giusto approccio alla pratica e alla esplorazione e esposizione dei contenuti e di conseguenza da questo punto di vista ero in qualche modo bloccata.

Sono andata lì senza nessuna idea particolare. Voglio dire che non avevo deciso se alla fine sarei rimasta. Non sono mai rimasta più di tre settimane in nessuna delle altre comunità che avevo avuto modo di frequentare assieme a dei compagni di viaggio nei quattro mesi e mezzo dopo la laurea. Quello che mi interessava era il contesto sociale: mi piacevano gli Zendik - la maggior parte di questi aveva un'età tra i venti e i trent'anni - per il loro senso pratico, per il loro aspetto fisico vigoroso e per la maniera ferma e decisa in cui sostenevano le loro convinzioni. In particolare ero affascinata dagli uomini della comunità, che erano molto più virili della media degli studenti di Harvard. Sapevo già da prima che gli Zendik intrecciavano tra di loro rapporti sessuali con dei veri e propri metodi di assegnazione oppure "appuntamenti". La cosa mi sembrava un ottimo modo per compensare la mia estrema inettitudine negli approcci con l'altro sesso. In un solo colpo avrei fatto parte di una tribù di "cazzuti" attivisti e avrei potuto anche risolvere i miei problemi relazionali. Be', devo dire che la cosa appariva effettivamente come un buon affare.

Intanto, il mio viaggio da Brooklyn, New York ai boschi della North Carolina occidentale, mi aveva isolato: non avevo un auto, non sapevo guidare, e potevo chiamare solo da un telefono condiviso con gli altri occupanti della stanza più affollata della "Farm". Quindi era oggettivamente difficile entrare in contatto con l'esterno, questo a prescindere dal fatto se avessi voluto o meno discutere della mia esperienza. Rapidamente Zendik divenne il mio mondo e per appartenere a questo mondo bisognava rispettare delle regole precise: avrei dovuto consegnare tutti i miei contanti e mi sarei dovuta impegnare a restare lì tutta la vita. Ho preso questa decisione in due settimana.

Quando mi sono trasferita a Zendik, Google era appena nato; la fonte primaria - forse l'unica - di informazione sulla Farm su Internet era praticamente il suo sito ufficiale. Direi che di conseguenza la mia famiglia e i miei amici fossero allo stesso tempo preoccupati per la mia ferma adesione a questo sistema di vita, tanto quanto aperti alla possibilità che forse così avrei trovato la mia giusta dimensione - ma non avevano del resto alcun accesso possibile a informazioni che avrebbero potuto confermare oppure smentire i loro pensieri.

2. Prima ti ho chiesto come mai tu abbia deciso di diventare una Zendik. Ovviamente è necessario introdurre a questo punto le figure di Wulf Zendik e di sua moglie Arol per cominciare a capire meglio di che cosa stiano effettivamente parlando. Credo che tu non abbia a questo punto mai conosciuto personalmente Zendik, ma hai vissuto per cinque anni con sua moglie Arol. Chi erano veramente Wulf Zendik e Arol? E che cos'era esattamente una Zendik Farm? Apparentemente a questo punto penso che non si possa definire esattamente come una comune hippie. Di che si trattava quindi? Su quali principi si fondava l'intero progetto? Con quali finalità? E che cosa faceva concretamente uno Zendik durante la sua permanenza lì?

HZ. Chi erano verametne Wulf e Arol? Questa è una bella domanda. Posso dirti che cosa facevano, ma posso allo stesso tempo dire chi fossero veramente? Penso tuttavia di poter dire che cosa significassero per me e come questo è cambiato, quando io sono cambiata.

Quando vivevo alla Zendik Farm, pensavo che Wulf e Arol fossero la prima coppia nella storia del genere umano a praticare una forma di assoluta onestà e lealtà nel rapporto uomo-donna e che solo seguendo il loro esempio anche io avrei potuto trovare il vero amore (nel senso puro del termine e non secondo quella che può essere una visione meno ideale tipica dei nostri giorni). Loro due - le loro parole, quello che facevano e il modo in cui esprimevano la loro arte - erano la mia guida: tutto quello che dicevano e facevano - persino quelle che potevano sembrare delle contraddizioni - era per me un modello su come avrei dovuto vivere la mia vita.

In aggiunta posso dire che consideravo Arol come la mia insegnante, il mio mentore, il mio angelo custode e la mia madre surrogata e spirituale. Facevo di tutto per ottenere la sua approvazione e allo stesso tempo le sue critiche mi distruggevano. Mi affidavo a lei perché mi guidasse nella scoperta della mia sessualità, nello sviluppo delle mie arti, che mi illuminasse la via - nonostante ella mancasse di dolcezza e fosse priva di tatto e il suo amore fosse decisamente condizionato.

La Zendik Farm potrebbe in qualche modo essere considerata come una comune hippie, nel senso che fu inaugarata esattamente durante il periodo hippie (nel 1969) e unì tra di loro in una intensa interdipendenza persone che non avevano tra loro vincoli di sangue: anch'essa nasceva con il proposito di promuovere il "ritorno alla terra" e principi come la tintura a nodi, la lievitazione naturale e i bagni all'aperto. Inoltre Wulf e Arol cavalcarono l'onda lunga della disillusione nei confronti dei modelli istituzionali (la guerra, il governo delle multinazionali, l'isolamento culturale...) e che spinse migliaia di persone, soprattutto giovani, a mollare tutto e buttarsi in esperienze di questo tipo. La maggior parte dei Zendik anche erano giovani. Tuttavia per quanto mi riguarda mi guarderei bene dal definire Zendik come una "comune" perché, per quella che è stata la mia esperienza, posso dire che in questo caso solo una o due persone controllavano i soldi e possedevano la terra. In aggiunta, si può dire che chi fosse più vicino a Wulf e Arol, ricevesse ovviamente un trattamento molto migliore rispetto a tutti gli altri.

La finalità che avrebbe dovuto perseguire Zendik e la ragione per la quale fu fondata, è che se gli artisti si fossero messi assieme, in una dimensione che fosse loro estranea, questi non solo sarebbero sopravvissuti, ma avrebbero prosperato e sarebbero cresciuti sul piano artistico e spirituale. Inoltre l'idea era che fare parte di una famiglia più ampia che quella tradizionale composta da genitori e figli, avrebbe dato vita a più ampia rete di sostegno e confronto reciproco, in cui aspiranti coppie, che avessero seguito l'esempio pioneristico di Wulf e Arol che avevano tra di loro quella che si considerava come la relazione perfetta, avrebbero potuto alla fine ottenere quello che si può definire come vero amore. Intanto, semplicemente vivendo tutti assieme e collaborando uno con l'altro, mentre avremmo lavorato su come evolverci in direzione dell'emancipazione sessuale e in generale verso l'illuminazione spirituale, costituivamo un modello per il resto dell'umanità, che un giorno avrebbe messo fine a menzogne, violenze, solitudini, competizione e devastazione dell'ambiente.

Apparentemente, questo avrebbe dovuto essere lo scopo della comunità; ma in realtà, non posso dire quanto o più consapevolmente, coltivavano il desiderio (almeno per quello che riguarda Arol) di ottenere una profonda lealtà e devozione da parte dei loro seguaci e che avrebbe assicurato il loro benessere materiale e quello della loro progenie.

In realtà, durante la permanenza alla comunità, uno Zendik fa praticamente di tutto, a seconda delle sue capacità e del suo talento e del suo posto all'interno delle gerarchie, oppure a seconda delle decisioni e dei capricci di Arol. Quelli più in alto nella gerarchia erano deputati a fare lavori più qualificati e si occupavano dell'amministrazione e dell'aspetto organizzativo; gli ultimi arrivati probabilmente sarebbero stati invece destinati a estirpare le erbacce, lavare i piatti, tagliare le verdure, mietere il grano. Molti di noi passavano probabilmente più della metà dei nostri fine settimana per le strade della città e durante concerti, manifestazioni di protesta e festival, vendevamo articoli di Zendik autoprodotti (riviste, CD, adesivi, magliette) per mantenere a galla la comunità. Inoltre facevamo un sacco di confronti, più o meno grandi, su questioni come il sesso, i conflitti interpersonali, l'organizzazione delle vendite, ogni problema che fosse percepito all'interno della collettività. Infine ci riunivamo per ascoltare il "rap" di Arol, una specie di sermone domenicale; per ascoltare le parti peggiori e più selvagge dell'ultimo disco della band; per realizzare le parti più semplici ma più laboriose di grandi progetti. E ovviamente facevamo "passeggiate" e "appuntamenti": il giorno dopo analizzavamo tutto in maniera meticolosa, quasi maniacale e cercavamo di evitare i nostri ex amanti, ossessionati per lo più dal nostro rapporto con Arol e dal nostro ruolo all'interno della comunità. Alla fine avevamo tessuto una rete di relazioni molto spessa ma allo stesso tempo sottile - sì, certo, eravamo interdipendenti e condividevamo esperienze tanto profonde e strazianti come felici, ma eravamo sempre spaventati dal fatto che quel filo si sarebbe potuto spezzare in qualsiasi momento e che così saremmo rimasti tagliati fuori da tutto.

3. Parliamo di quelli che immagino avrebbero potuto essere aspetti diciamo "critici" per quello che riguarda l'organizzazione della comunità. Prima di tutto mi sembra di poter dire che alla fine funzionasse come una specie di regime dittatoriale da parte di una élite composta da Arol, sua figlia Fawn e Zoe, che era praticamente l'"uomo alfa" del gruppo e il padre del primo figlio di Fawn. È sempre stato così anche quando Wulf era vivo? Ho letto che in realtà a condurre la comunità fosse sin dal principio sempre stata Arol, mentre Wulf si dedicava principalmente alle sue attività artistiche oppure a quelle che immagino fossero attività di tipo spirituale. C'è qualcosa di vero in questa affermazione? A parte questo, in pratica nella comunità vivevate principalmente lavorando e vendendo cose per raccogliere fondi per portare avanti la struttura. Non avevate tempo per praticare le vostre arti e non c'era una vera libertà vera e propria di nessun tipo. Perché sei rimasta lì tutto quel tempo? Possiamo dire che qualche cosa ti abbia condizionato? Avevi "paura" di rientrare in quella che possiamo definire come la vita di tutti i giorni? Sei stata minacciata? Quando hai finalmente deciso che dovevi andare via e perché sembra ci siano così pochi Zendik che abbiano parlato della loro esperienza?

HZ. Non posso sicuramente asserire con certezza come funzionasse la comunità quando Wulf era ancora vivo. La mia idea è che Arol abbia comunque sempre avuto un ruolo più determinante rispetto a lui sul piano organizzativo e amministrativo; ma non direi affatto che Wulf non esercitasse il suo potere sugli altri. Anzi. Dal mio punto di vista, Arol è stata "il primo seguace" di Wulf - è stata lei a legittimare le sue convinzioni e le sue pratiche, perché è stata la prima ad adottarle e quindi a contribuire a renderle appetibili, affascinanti presso una cerchia più ampia. Inoltre, come spiego nel mio libro autobiografico, l'approccio idiosincratico relativo il controllo delle nascite degli Zendik sembrava essere stato attuato sistematicamente per servire Wulf, che aveva rapporti sessuali con la maggior parte delle donne della comunità, cui chiaramente non tutte avevano interesse altro se non acquistare una posizione predominante all'interno della comunità.

No, non è vero che non avevo tempo per la mia arte. Mi sono presa i miei spazi per scrivere, nei ritagli di tempo, spesso a tarda notte; semplicemente il mio unico sbocco per pubblicare era la rivista Zendik, l'unica approvazione che contava era quella di Arol e le recinzioni elettriche che si erano costruite nella mia mente circoscrivevano e limitavano fortemente il territorio che potevo immaginariamente occupare. Inoltre, poiché ero così profondamente calata nella realtà Zendik, non potevo rischiare di cercare altre soluzioni perché avevo paura di perdere la fiducia e non ero in grado di descrivere la mia vita lì in maniera dettagliata o in qualsiasi altro modo, attraverso parole, a chi non facesse parte della comunità.

Riguardo la libertà: ne avevo alcune. Faccio riferimento qui a "Bunded Choice", un libro molto interessante della sociologia e ex-cultista Janja Lalich. Sostiene che le persone che fanno parte di una setta, prendano molte delle loro decisioni in maniera autonoma, ma queste avvengono con delle restrizioni o con un sistema di credenze molto limitato. Quindi ad esempio a Zendik potevo scegliere chi "puntare" per un "appuntamento" o l'assegnazione di un rapporto sessuale, ma non potevo eludere il sistema formale che prevedeva il regolamento.

Ognuno di noi vive dentro una propria storia (alcune sono più dense di contenuti rispetto ad altre); io sono rimasta così tanto a Zendik perché volevo che la sua storia fosse anche la mia: credevo veramente che la mia unica possibilità di costruire un rapporto onesto, sincero e duraturo con un uomo fosse imparare tutto da Arol, l'unica donna sulla Terra che ci fosse mai riuscita. Credevo allo stesso tempo che se fossi ritornata alla vita mediocre di tutti i giorni ("Deathculture") sarei morta nell'anima. Se non nel corpo, come punizione per aver tradito il vero e autentico significato della vita, rinunciando alla missione di Zendik di mettere fine alla distruzione del mondo in cui viviamo. Il fatto che tutto questo esistesse solo nella mia mente non significa che per questo fosse meno spaventoso. In aggiunta alcune minacce erano reali: sapevo, perché avevo visto altri Zendik andare via, che se fossi stata cacciata fuori dalla comunità per questa ragione avrei dovuto abbandonare tutti i miei legami. Non avevo soldi e c'era un grosso e gigantesco buco nel mio curriculum e relativo le mie esperienze lavorative in generale, tutte cose che rendevano difficile sia sul piano finanziario che professionale, ricominciare daccapo. Naturalmente poi c'erano alcune cose che mi spingevano a restare: mi piaceva quella sensazione di euforia durante le vendite; le "lune di miele" durante le varie relazioni amorose; quel cameratismo di sentirsi parte di una collettività "cazzuta" a casa e per le strade e soprattutto quei legami forti (anche se contorti) con queste persone con cui avevo condiviso così tanto.

Chi non ha mai fatto parte di una esperienza di questo tipo generalmente ha la convinzione che queste organizzazioni ("culti" oppure "sette") facciano di tutto per mantenere i loro membri e non farli andare via. Ma non funziona così. In realtà il filo spinato non si avvolge a delle componenti "mitiche", ma al cuore e alla mente di ogni membro - e una pratica di epurazione periodica oppure di esilio può effettivamente invece aiutare a preservare il potere del capo e la coesione del gruppo. Come? Dando a chi resta la percezione che loro siano ancora più speciali di quanto pensassero (è un concetto che può apparire contorto, ma se ci pensi la cosa funziona) e ricordando loro che se mirano troppo in alto, o riducono il loro impegno, allora potrebbero essere i prossimi.

Non ho mai pensato che avrei dovuto andare via, ma nel settembre del 2014, quasi cinque anni dopo il mio arrivo, sono stata cacciata.

Perché? Ho provato a spiegarmi la cosa in questo modo: sebbene io credessi ancora che Zendik fosse l'unico posto possibile in cui io avrei potuto ottenere quella forma di relazione duratura e onesta che ricercavo, avevo cominciato a perdere la speranze di essere veramente all'altezza della sfida che mi ero proposta. Questo potrebbe di conseguenza aver portato nel mio subconscio a una sensazione di rinuncia alla causa e che Arol potrebbe avere colto. Un'altra ragione potrebbe essere semplicemente quella secondo cui Arol avesse intenzione di eliminare qualcuno e fosse arrivato il mio turno.

Come ho detto, sono andata via da Zendik nel settembre 2004; ho avuto poi bisogno di altri quattordici mesi per liberare il mio cuore e la mia mente dalla sensazione di perdita e di fallimento. Quando questo è successo, tuttavia, mi sono sentita in uno stato di estasi: il passaggio da "Ho fallito e sono condannata" a "Zendik è una setta!" è stato liberatorio e mi ha permesso di aprirmi al mondo e costruire la mia vita. Così ho abbracciato la verità delle cose e ho condiviso in lungo e in largo la mia esperienza. E sebbene mi ci siano voluto più che dodici anni per raccogliere la mia intera storia a Zendik in forma di libro, mi sono sentita sin dal momento in cui mi sono liberata, di essere ben disposta e in grado di spiegare ai non-Zendik come funzionava Zendik e che cosa avevo vissuto. Nel merito comunque posso dire, ma potrei sbagliare in entrambi i casi: che da una parte molti ex-Zendik preferiscono non parlare del tempo che hanno passato lì perché si vergognano (come se fossero stati ingenui e si siano lasciati "fregare", ecc.), dall'altra non si aspettano che gli altri possano capire veramente cosa significasse essere lì. Ma potrebbe anche essere vero che alcuni ex-Zendik (che considerino ancora la Farm come un movimento rivoluzionario) cerchino di proteggere e difendere la loro scelta, tenendo sol oper sé gli aspetti peggiori della vicenda. Inoltre non tutti sono degli scrittori.

Ma io lo sono e uno dei motivi per cui ho lavorato così tanto e duramente affinché il mio libro fosse pubblicato è proprio il fatto che vorrei questo fosse anche un sostegno ai miei amici ex-Zendik: forse questo potrà essere d'aiuto a chi sente questa "vergogna", per cominciare invece a rendere merito al loro duro lavoro e i loro solidi ideali, e magari potrà essere un modo per loro per parlare di cose che non sono mai riuscite a spiegare fino ad oggi.

4. C’è un aspetto della filosofia Zendik che trovo molto particolare e che mi piacerebbe tu ci spiegassi. Mi riferisco a quello che hai definito come “Psychic Cause and Effect”. Di che cosa parliamo esattamente e come e dove dobbiamo collocare questo principio all’interno della filosofia Zendik? Hai comunque usato la parola “setta” (“cult”) per descrivere tutti gli appartenenti alla comunità Zendik, perché? Vuoi dire che alla fine si trattasse di una specie di comunità di fanatici religiosi? Hai inoltre spiegato come i componenti della cosiddetta élite si siano praticamente arricchiti alle spalle degli altri membri della comunità. La cosa mi sembra sensata, non lo metto in dubbio, ma come è potuto succedere? Voglio dire che mi sembra strano abbiano potuto farlo attraverso la vendita di cd oppure per le diverse attività legate alla comunità. Non voglio peccare di presunzione e forse adesso dirò qualche cosa di completamente sbagliato, ma che cosa mi rispondi se ti chiedo se alla fine gli Zendik non fossero coinvolti anche in attività illegali?

HZ. Secondo la "legge" Zendik del principio psichico di causa-effetto ("Law of Psychic Cause and Effect") siamo tutti quanti continuamente connessi l'uno con l'altro e allo stesso tempo mandiamo dei "segnali" con cui attiriamo a noi stessi precisamente ciò che ricerchiamo nella vita, che potrebbe essere anche qualcosa di sepolto nel profondo del nostro subconscio corrotto dal pensiero comune ("Deathculture") e che come tale si oppone al nostro desiderio cosciente. Di conseguenza se vai per la strada a vendere articoli Zendik con la volontà di guadagnare un sacco di soldi e entrare in contatto con molta gente, ma intanto ti ritrovi a piagnucolare con solo cinque dollari in tasca e questo ti butta giù, allora significa che preferisci ancora la stessa sofferenza cui ti ha abituato il pensiero comune o che nutri dei dubbi nei confronti della rivoluzione Zendik.

In qualche modo tutto questo potrebbe sembrare somigliante alla "legge dell'attrazione" resa popolare dal bestseller "The Secret" e effettivamente le cose stanno così. Il problema principale allo stesso tempo è che noi Zendik eravamo per lo più portati a enfatizzare gli effetti negativi di questo meccanismo, cioè eravamo praticamente molto più propensi a incolpare noi stessi e gli altri e quindi avevamo una accezione di noi stessi negativa invece che positiva. Al contrario, quando accadevano cose positive, il merito veniva attribuito solo ad Arol oppure alla comunità Zendik nel suo complesso.

Parlare comunque di un complesso di regole strutturali per quello che riguarda la filosofia Zendik non ha alcun senso perché implicherebbe una coerenza che non esiste; ognuno di noi elaborava i propri pensieri attraverso delle connessioni tra le diverse idee che non erano articolate in maniera adeguata e spesso in contraddizione con il modo in cui vivevamo.La "legge psichica di causa ed effetto" in questa rete di connessioni era uno strumento che potevamo potenzialmente adoperare in qualsiasi momento - in questo modo qualsiasi concetto oppure esperienza veniva estrapolato dal contesto reale e le situazioni difficili non venivano mai attribuite alla comunità Zendik e ai suoi leader ma invece in quella che era la nostra posizione all'interno delle gerarchie, questo valeva tanto a livello collettivo che individuale.

Uso due definizioni della parola "cult" (praticamente "setta"). La prima, quella basica, è: "un gruppo che priva l'individuo della fiducia in se stesso". La seconda, e più complessa, include i criteri stabiliti da esperti come Margaret Thaler Singer e Steven Hassan - ad esempio il fatto che ogni individualità in sé non sia importante (va bene sacrificare il singolo per il bene della "missione"), l'impossibilità di potersi appellare a un poter più alto che quello del leader, la priorità assoluta nelle attività di reclutamente e raccolta di fondi invece che concentrare i propri impegni su un obiettivo concreto e realizzabile. Entrambe le definizioni vanno bene per Zendik; allo stesso tempo non parlerei di fanatismo religioso (non definirei infatti Zendik anche come una religione). Anche se è vero che poi la maggior parte delle persone etichettate come "fanatici religiosi" siano mentalmente e emotivamente limitate da strutture sociali simili a quelle degli Zendik.

I leader di Zendik non si sono arricchiati. Sì, Arol ha vissuto molto bene e senza mai aver lavorato in vita sua e - che io sappia - senza dovere mai ricorrere a forme di sostegno sociale e fino alla sua morte è stata circondata da un sacco di persone disposte a prendersi cura di lei. Sì, Arol e Fawn hanno avuto molte più possibilità rispetto alla generalità dei Zendik di accedere a risorse per poter sviluppare sia i loro impulsi artistici che soddisfare i propri desideri materiali. Ma quando Arol è morta nel 2012, ha lasciato a sua figlia poco più che una proprietà con una buona rendita acquistata grazie a operazioni di speculazione immobiliare. Così mentre Fawn - a differenza di altri che hanno speso decenni dedicandosi alla causa di questa presunta rivoluzione - uscì fuori da questa storia con un terreno che poteva vendere, non ne uscì fuori con un mucchio di soldi. Del resto, prima ancora della fine di Zendik, questa fu sostenuta finanziariamente dalla famiglia del marito di Fawn e dalla famiglia di un altro membro della comunità di vecchia data.

Il denaro di Zendik proveniva principalmente dalla vendita delle riviste, dei CD, degli adesivi e le magliette che vendevamo per le strade (vendevamo magliette anche telefonicamente). Allo stesso tempo, come consuetudine, chiunque si impegnasse per la causa, cedeva a Zendik i propri risparmi, il proprio fondo universitario, la propria eredità ecc. ecc. e/o "prestava" a Zendik soldi che Zendik non avrebbe mai rimborsato (che io sappia ci sono almeno due Zendik "storici" che avrebbero immesso nei fondi della comunità somme a sei cifre sottratte ai fondi delle loro famiglie). Quindi, anche quando Zendik aveva dei problemi finanziari, questi ricorrevano principalmente alla coercizione invece che ad attività criminali vere e proprie (che, secondo la mia esperienza, si limitavano principalmente a forme di taccheggio e uso di pass finti per intrufolarsi a concerti e festival).

Se non riesci a spiegarti come Arol e la sua famiglia abbiano mantenuto uno standard di vita abbastanza elevato, prova così: Zendik era un business portato avanti da impiegati disposti a lavorare in maniera ossessiva e maniacale e fare un sacco di straordinari in cambio di cibo, un posto dove stare, vestiti e prendere parte a una storia che definirei abbastanza seducente da dare un senso a ogni sacrificio.

5. Come finisce tutta questa storia? La Zendik Farm ha dovuto dichiarare bancarotta o qualche cosa del genere, vero? Possiamo a questo punto dire che questa esperienza sia conclusa? Che cosa ne è stato di Fawn e degli altri membri della “élite”? Ma soprattutto, che cosa puoi raccontarci di te? Hai lasciato la comunità nel 2004. Come hai ricominciato la tua esistenza? Ho letto e ci hai raccontato molte cose della tua vita nella comunità, ma posso chiederti che cosa ti è successo dopo? Cosa ci puoi raccontare della tua vita oggi? Voglio dire: se sei sposata, se hai dei figli, un lavoro “regolare”. Soprattutto vorrei chiederti se credi ancora in quelle stesse ragioni ideali che ti avevano spinto a diventare una Zendik venti anni fa. Hai ripreso la tua attività come artista? E cosa ci dici del tuo libro? Praticamente hai scritto tantissimo sulla vita a Zendik Farm. Sicuramente più di quanto abbia mai fatto chiunque altro. Quanto è conosciuta e interessa questa storia negli USA? Hai mai avuto la percezione che l’argomento fosse considerato come qualche cosa che per qualche ragione non andasse trattato? Infine, hai mai più incontrato altri ex-Zendik che sono stati tuoi compagni d’avventura?

HZ. No, non penso che la Zendik sia fallita: tuttavia, nell'anno della morte di Arol (il 6 giugno 2012) o giù di lì, la comunità si dissolse, quando anche gli ultimi irriducibili decisero di andare via. Quindi sì, questa esperienza è finita, nel senso: il proposito e la vera anima di Zendik, secondo me, era quella di tessere una tela di relazioni tra persone che altrimenti non si sarebbe mai intrecciata; una volta completata la tela, tuttavia, il telaio è caduto. Ma da un altro punto di vista, questa esperienza persiste nel tempo, attraverso le azioni di coloro che ne hanno fatto parte.

No, non sono in contatto con Fawn o altri ex membri del cerchio magico di Arol e sinceramente preferisco non commentare che cosa facciano oggi e dove.

Per quanto riguarda me? Quando ho lasciato Zendik - con dieci dollari in tasca e lo zaino sulle spalle - mi sono sentita allo stesso tempo libera e condannata: sì, è stato eccitante essere di nuovo fuori nel mondo e senza che nessuno mi controllasse - ma non potevo liberarmi dalla convinzione di avere tradito la mia tribà e tutta la mia vita e di essere stata costretta all'esilio. Credevo che mi sarei potuta salvare solo ritornando indietro, ma allo stesso tempo sapevo che avrei dovuto sopravvivere accettando il fatto che questo non sarebbe mai potuto succedere.

Più o meno nel corso di un anno dopo la mia partenza, ho piano piano ripreso le relazioni con la mia famiglia, ho fatto nuove amicizie con persone che non fossero Zendik, ho avuto degli appuntamenti liberi da ogni vincolo. Sebbene continuassi a vedere il mondo che mi circondava come quella che prima ho definito come "Deathculture", allo stesso tempo non potei fare a meno di considerare e di essere grata del rispetto e della gentilezza che ricevevo regolarmente. Né potevo ignorare il contrasto tra questo rispetto e gentilezza e la freddezza che sapevo avrei ricevuto in cambio se mai avessi chiamato la comunità. Nell'ottobre del 2005, nella quiete dell'appartamento di mia madre a Brooklyn (dove sono arrivata dopo un anno di autostop, trasferimenti, lavoro in agricoltura e un viaggio di quaranta giorni in giro per il mondo), ho deciso che non avevo nessuna voglia di evocare quella freddezza facendo quella telefonata e - infine - con l'aiuto di un amico ho cominciato a riconoscere tutti gli aspetti più dolorosi della mia esperienza nella comunità Zendik. Un paio di mesi dopo ho letto un libro sulle sette che mi era stato consigliato da un altro ex-Zendik e sono stata felice di constatare che Zendik si adattasse perfettamente alle rappresentazioni nel testo. Quello che voglio dire è che non c'è un movimento rivoluzionario che sia il solo responsabile del salvataggio della vita sulla Terra e che io non avevo tradito tutto ciò che ritenevo sacro andando via dalla comunità. Questo mi ha permesso di aprirmi al mondo e di cominciare a vivere la mia vita come volevo.

Da allora sono successe un sacco di cose, soprattutto ho conosciuto l'uomo che poi è diventato mio marito (no, non abbiamo figli) e ho scritto e pubblicato il mio libro "Mating In Captivity" e ho cominciato a frequentare una nuova comunità (assolutamente "non-cult"!) chiamata "Earthaven", che si trova nella North Carolina occidentale, non lontano da dove si trovava Zendik. Ho fatto diverse esposizioni artistiche e ho avuto diversi lavori, molti dei quali per brevissimo tempo e precari; in questo momento il mio progetto - mentre mi preparo a lanciare il mio libro - è riuscire a lavorare e guadagnare abbastanza lavorando e condividendo con gli altri quello che faccio. Dopo avere addomesticato i miei demoni legati alla mia esperienza a Zendik in una comprensione del mio bisogno umano di avere un significato e sentirmi parte all'interno di un contesto di interazione sociale ampio, mi sento chiamata a dare tutto quello che possiedo usando le mie parole e la mia presenza per coltivare sensazioni come benessere spirituale, gentilezza, gioia. Questa vocazione, per quanto mi riguarda, costituisce una evoluzione di quella ricerca di una specie di "tribù" che mi aveva portato a prendere parte alla Zendik Farm.

Ho iniziato a scrivere il libro su Zendik nel gennaio 2016; sarà pubblicato su She Writes Press il giorno 8 maggio 2018. È stato questo progetto che mi ha dato la spinta a impegnarmi nella scrittura, è stato un processo in cui ho lavorato su me stessa e sviluppato poi in una forma d'arte. Comunque questa storia interessa a molte persone in America: solo che oggigiorno, con il mondo del mercato dei libri completamente stravolto, ogni autore deve trovare una propria strada specifica per la pubblicazione e ci ho messo un po' per trovare la mia. Tuttavia, a posteriori, sono felice di avere dovuto fare questo percorso lungo e tortuoso, perché a quanto pare ho trovato la mia giusta dimensione. E non posso che essere felice che il mio libro sia prossimo alla pubblicazione e sarà reperibile in biblioteca, nelle librerie e accesibile a molti lettori.

In risposta alla tua ultima domanda, citerò le ultime righe dell'epilogo del mio libro: "Considero molti ex-Zendik come se fossero i miei migliori amici. Come piante rampicanti attorno alle rovine, i legami tra le persone rimangono."

READ IT IN ENGLISH

1. Hi Helen. I would firstly say that I'm really thankful you accepted to release me this interview. We’re going to discuss about a reality that’s possibly some way popular into the US but absolutely unknown here in Italy, so I also please you try to understand if I will eventually be inaccurate. So, you lived in a Zendik Farm from 1999 to 2004. In practice you started it a few months after Wulf Zendik died. So at the time she was his wife Arol the main relevant figure into the conduction of the farm and I suppose she actually was until her death in 2012. But let’s start talking about your experiences of course. It was 1999. How old were you? Were you actually an artist? Why did you decide to become a Zendik and how did it happen? Standing at the criticism 'bout Zendik I suppose it was also notable at the time, no one did actually try to discourage you into doing it? What about your family and friends? What did they say?

HZ. I was twenty-two when I moved to Zendik in 1999. Yes, I was an artist – I’d been making visual art since I was little, and had majored in art at Harvard. I was also quite serious about writing, but had not yet learned to approach it as a process, or an exploration, which meant I was easily blocked.

I showed up at Zendik not sure I would stay; I hadn’t lasted more than three weeks at any other community I’d visited (with the aid of a traveling fellowship) in the four and a half months since graduation. What drew me in was the social sphere: I admired the Zendiks – most of whom were in their twenties and thirties – for their practical skills, their physical vigor, and their strong convictions. In particular, I was enthralled by the Zendik men, who were so much more rugged than the average Harvard student. And I learned, early on, that the Zendiks used go-betweens to arrange sexual assignations, or “dates” – which seemed like a great way to compensate for my extreme ineptitude at the mating dance. Here, it seemed, I could not only belong to a bad-ass tribe of eco-warriors, but also get help finding romance. It seemed like a pretty good deal.

Meanwhile, my journey from Brooklyn, New York to the backwoods of western North Carolina had left me isolated: I didn’t have a car, didn’t know how to drive, and could only make calls from a shared phone in the busiest room on the Farm. So it was hard to connect, never mind frankly discuss my experience, with outsiders. Pretty quickly, Zendik became my world, and in this world there was one clear path to belonging: hand over my grant money and commit to staying for life. This I did, within two weeks.

When I moved to Zendik, Google was just a baby; the primary – possibly the only – source of information about the Farm on the Internet was its own website. I would say my family and friends were both concerned about my shotgun commitment and open to the possibility that I might have found my place – and they didn’t have access to information that might have corroborated their suspicions.

2. I asked for first about you becoming a Zendik. But of course it is necessary to introduce Wulf Zendik and his wife Arol to start to comprehend what we are effectively talking about. You never met personally Zendik, but you lived for five years with Arol. Who were really them? I mean Wulf Zendik and his wife Arol. And what was actually the Zendik Farm? It apparently seems that it is far to be considered properly as an hippie commune. So, what’s that? What were the inspiring proposals at the basement of the project? What the intents? And what did in concrete a Zendik do during his permanence there?

HZ. Who were Wulf and Arol really? That’s a good question. I can tell you things they did, but can I say who they were? I suppose I can say who they were to me – which changed as I changed.

When I lived at Zendik, I believed that Wulf and Arol were the first couple in history to practice absolute honesty in a male-female relationship, and that it was only by following their example that I, too, could find true love (not some “Deathculture” substitute). They – their words, their actions, their artistic expression – were my scripture: all they said and did – even the contradictions – I took as guides for how I should live.

In addition, I treated Arol as my teacher, mentor, taskmaster, and surrogate mother. Her approval made my day; her criticism ruined it. I trusted her to guide me through sexual blooming, artistic development, and all-around enlightenment – despite her lapses in kindness and her highly conditional love.

Zendik Farm could be seen as a hippie commune, in the sense that it was started during the hippie era (in 1969), involved intensive interdependence among people not related by blood, was premised on a move “back to the land,” and was serious about tie-dyed clothing, nutritional yeast, and outhouse holes. Also, Wulf and Arol caught the wave of disillusionment with mainstream patterns (war, corporate rule, creeping isolation) that was pushing thousands to “drop out.” And most of the Zendiks were young. However, I shy away from calling Zendik a “commune” because, in my experience, just one or two people controlled the money and owned the land. Plus, those who were kin to Wulf and Arol tended to receive much better treatment than those who were not.

The basic proposition upon which Zendik was founded was that if artists banded together, in a culture indifferent to them, they would not only survive, but thrive. Further, a family unit larger than parents and children would make room for healthier relationships and a broader network of support, within which aspiring couples who apprenticed to Wulf and Arol’s pioneering example could hope to become completely honest with each other, and thereby experience true love. Meanwhile, by simply living together, in tight cooperation, as we pushed each other to evolve toward sexual and general enlightmenment, we’d provide a model for the rest of humanity that would one day end lying, violence, loneliness, competition, and ecocide.

On the surface, these were the intentions; beneath them, acknowledged or not, ran, I would guess, a desire, at least on Arol’s part, to cultivate a depth of loyalty among her followers that would assure her own material wellbeing and that of her progeny.

In reality, while living at the Farm, a Zendik did all kinds of things, determined by her skills and talents and her place in the hierarchy, as well as Arol’s current schemes and latest whims. The higher-ups were more likely to do skilled work, and participate in administration and organization; newer people were more likely to weed the garden, wash the dishes, cut the veggies, muck the barns. Many of us spent maybe half our weekends on city streets, and at concerts, protests, and festivals, selling self-produced Zendik merchandise (magazines, CDs, bumper stickers, T-shirts) to keep the Farm afloat. In addition, we participated in lots of meetings, small and large, on matters such as sex, interpersonal conflict, selling, perceived collective attitude problems. Plus, we gathered to listen to Arol “rap,” Sunday-sermon style; to listen to rough cuts of the band’s latest album; to accomplish the simpler but more labor-intensive parts of large building projects. Oh, and we went on “walks” and “dates,” and dissected them the next day, and tried to avoid our ex-lovers, and obsessed over our standing with Arol and our place in the tribe. Doing all this, we wove a thick but tenuous web of relationship – yes, we interdepended deeply, and shared many wrenching and joyful experiences, but, we were perennially aware, the weave could rip – and cast us out – at any time.

3. Let's talk about what I suppose were some critical aspects into the structure of the Farm. First of all it is assumed that it worked as a form of "dictatorship" of an élite composed by Arol, her daughter Fawn and Zoe, who was actually the alpha man of the group and the father of the first child of Fawn. It had always been so also when Wulf was still alive? I read in any case that who conducted the Farm she had always been Arol, while Wulf was effectively dedicating himself to his arts or what I suppose they were some spiritual activities and intents. Is this affirmation reasonable? In practice in a Zendik Farm you lived mainly working at the farm and selling things to raise fund for the collettivity. You never had time for your arts and there was no freedom of any type. Why had you been there all that time? Did they some way condition you? Did you feel literally afraid you wasn’t able to re-entry into the "ordinary" society? Did they eventually menace you? When did you finally come to realise you had to leave and why are there a few number of Zendiks who reported their experiences?

HZ. I can’t comment with authority on how the Farm was run when Wulf was alive. I do get the sense that Arol had more responsibility than he did for day-to-day operations; however, I would not say that Wulf was without power over others. In my view, Arol served as Wulf’s “first follower” – she legitimated his beliefs and practices by being first to adopt them, and then helping make them palatable to a broader circle. Also, as I explain in my memoir, Zendik’s idiosyncratic approach to birth control seemed to have been put in place in part to serve Wulf, who had had sexual interactions with most of the women on the Farm, not all of whom would have been interested if not for his position of power.

It’s not true that I never had time for my art. I did take time to write, in short snatches, often late at night; it was just that my only outlet for publication was the Zendik magazine, the only approval that mattered was Arol’s, and the electric fences in my mind strictly circumscribed the territory I could imaginally occupy. In addition, because I was so deeply entrenched in the Zendik story, and couldn’t risk peeking out, for fear I might lose faith, I was not able to describe my life there in any kind of detail, or make it accessible, through words, to outsiders.

Regarding freedom: I did have some. I’ll refer here to BOUNDED CHOICE, an excellent book by sociologist and ex-cultist Janja Lalich. She argues that people in cults do get to make plenty of their own decisions, it’s just that they make them within the strictures of a highly confining belief system. So, for example, at Zendik I could choose whom to “hit up” for a “date,” or sexual assignation, but I could not sidestep the requirement to formally hit someone up.

We all live inside stories (some more porous than others); I stayed so long at Zendik because I adopted its story: I believed that my only hope of building an honest, lasting relationship with a man was apprenticing to Arol, the only woman on Earth who’d ever done so. And I believed that if I returned to the “Deathculture” I would die in soul, if not in body, as punishment for having betrayed all life (by skipping out on Zendik’s mission to end ecocide). This threats was no less terrifying for being imaginary. And there were additional threats that were real: I knew, from watching other Zendiks leave, that if I left I’d be cut off from this tribe for which I’d forsaken all other ties. Plus, I had no money of my own, and a growing chasm in my resume, which made it hard, financially and professionally, to start over. Also, of course, there were good things that kept me around: I loved the high I sometimes got while selling; the honeymoon stages of my various love affairs; the camaraderie of collectively kicking butt, at home and on the street; and, most basically, my strong (if twisted) ties to these people I’d shared so much with.

There’s a misconception, among those without cult experience, that cults will do anything to keep their members. This is not the case. In reality, the barbed wire loops not around some mythical “compound,” but around each member’s heart and mind – and a practice of periodic purgation or exile can actually help preserve the power of the leader and the cohesion of the group. How? By assuring the remaining adherents that they are even more special than they’d thought (so and so couldn’t hack it, but you can!), and by reminding them that if they slip up, or relax their efforts, they could be next.

I never did realize I ought to leave; in September 2004, almost five years after my arrival, I was kicked out.

Why then? Here’s one interpretation: Though I still believed Zendik was the only place where it was possible to achieve lasting, honest partnership, I’d begun to lose hope that I was equal to the challenge; this may have contributed to a subconscious loss of heart for the cause, which Arol may have picked up on. Here’s another: Arol was looking to purge someone, and my number came up.

As I said, I physically left Zendik in September 2004; it took me another fourteen months to leave in heart and mind. When this finally happened, however, I was ecstatic; the story-change from “I’ve failed and I’m doomed” to “Zendik is a cult!” freed me to rejoin the wider world and build my own life. So I embraced it, and shared it far and wide. I felt no shame at all. And, though it took me more than twelve years to deliver my full Zendik story, in book form, I felt, from the time I was freed, willing and able to explain to non-Zendiks how Zendik worked and what I’d experienced. But, I have found, I may be unusual in both regards: I believe many ex-Zendiks shrink from speaking about their time there because they do feel ashamed (for having been taken in, etc.), and because they don’t expect that outsiders could ever truly understand what it was like to be there. It could also be true that some ex-Zendiks (who still see the Farm as a revolutionary movement) seek to protect their sense of chosen-ness by keeping the uglier details to themselves. Plus, not everyone’s a writer.

But I am, and part of why I worked so long and hard to get my memoir published was that I see it as medicine for my fellow ex-Zendiks: maybe it will allow some who feel shame to begin to honor their hard work and solid ideals, and maybe it will serve as a ready explainer for those who feel they could never explain.

4. Want you to explain us one particular aspect of the Zendik philosophy I think it is actually some way peculiar. I’m talking about what you defined as the "Psychic Cause and Effect". What's it and how it is set into the complex of the Zendik philosophy? You described a Zendik Farm also like a group of people devoted to what it had to be eventually defined as a "cult" In which sense? What do you mean, are we talking about a kind of religious fanaticism? Apart than this, it is supposed than the Zendik élite they got rich because of their prominent role. But how did it happen? I mean, I can't believe it was just because of the farm and the selling of cds. Don't really want to assume nothing and I could possibly be completely wrong, but what if I ask you if there was possibly some not legal trafficks connected to the Zendik affairs?

HZ. According to the Zendik “Law of Psychic Cause and Effect,” we are all broadcasting, all the time, and always attracting precisely what we’re after – which may be something buried deep in our Deathculture-corrupted subconscious, as opposed to something we consciously desire. So if I’m out on the street selling Zendik merchandise and I consciously want to make lots of money and reach lots of people, but instead I’m sobbing in frustration with five dollars in my pocket, then, deep down, I must still prefer the pain I got used to in the Deathculture, or harbor doubts about the Zendik revolution.

This may sound similar to the “Law of Attraction,” popularized in the runaway bestseller The Secret – and it is. It’s just that we Zendiks, for the most part, emphasized the negative aspects of the dynamic, i.e., we were far more likely to blame ourselves and each other for “vibing into” the bad than the good. When good things did happen, credit usually accrued to Arol, or Zendik as a whole.

Referring to “the complex of the Zendik philosophy” implies a coherence that didn’t exist; each of us wove our own connective web through a tangle of poorly articulated ideas that often contradicted how we actually lived. Psychic cause and effect stood out from this web as a tool we could potentially use at any time – to tease insight from experience, to deflect responsibility for difficult situations away from Zendik and its leaders and onto the rank and file, either as a group or as individuals.

I use two definitions of the word “cult.” The first, and more basic, is “a group that strips the individual of self-trust.” The second, and more complex, includes the criteria set out by experts like Margaret Thaler Singer and Steven Hassan – for example, the dispensing of persons (it’s okay to sacrifice individuals for the sake of the mission), the lack of appeal to a power higher than the leader, the primacy of recruitment and fundraising over commitment to an achievable mission. Both definitions fit Zendik; neither has much to do with religious fanaticism (was Zendik even a religion?). However, it is true that most people labeled “religious fanatics” are mentally and emotionally confined by social structures similar to Zendik’s.

Zendik’s leaders did not get rich. Yes, Arol lived very well without holding a job or (as far as I know) becoming eligible for Social Security, and, to her death, was surrounded by people willing to take very good care of her. Yes, Arol and Fawn had much greater access than the average Zendik to the resources required to develop their artistic impulses and satisfy their material desires. But, when Arol died in 2012, she left her daughter with little more than a highly leveraged property purchased during a housing bubble. So while Fawn – unlike others who had also spent decades serving the supposed revolution – exited the Zendik experiment with land she could sell, she did not make off with a giant wad of cash. Indeed, before Zendik folded, it was being propped up financially by the family of Fawn’s husband and the family of another long-time member.

Zendik’s cash flow did come primarily from the magazines, CDs, bumper stickers and T-shirts we sold on the street (and, in the case of T-shirts, over the phone). However, it was also customary for anyone who committed to Zendik to hand over their savings, their college fund, their inheritance, etc., and/or “loan” Zendik money that Zendik did not intend to repay (I know of at least two long-time Zendiks who channeled six-figure sums to the Farm from their families). So, while Zendik did receive periodic windfalls, these were more likely to stem from coercion than criminal activity (which, in my experience, manifested mostly in the form of shoplifting and using fake passes to sneak into concerts and festivals).

If you’re looking for a way to explain how Arol and her family maintained a fairly high standard of living, try this one: Zendik was a business staffed by maniacally dedicated employees willing to work crazy amounts of overtime in return for food, shelter, clothing, belonging, and a story seductive enough to make any sacrifice worthwhile.

5. What about now? Zendik Farm did bankrupt, not? Did this crazy experience finally come to an end? What about Fawn and the other members of the élite? But more than this, what about you now? You left Zendik Farm on 2004. How did you re-start you life after that experience? I read about you describing many particular of the life in a Zendik Farm, but could I ask about you when you left the Farm? And what about your life now? I mean: are you married, have you got children... If you got a regular job... But much more than this if in any case you do still believe in the convictions they took you to the Farm twenty years ago. Did you re-start practicing your art? And finally what about the book? Know you wrote a lot about living in a Zendik Farm, you did possibly more than anyone ever. Do the story not interest to anyone in America? That’s something eventually considered as you had not to talk about it? And had you ever met any Zendiks from that time?

HZ. I don’t think Zendik went bankrupt; however, in the year or so after Arol’s death (on June 6, 2012), it did dissolve, as the last few die-hards moved away. So yes, the experience ended, in a sense: Zendik’s soul purpose, as I see it, was to weave a tapestry of relationships among people who would not otherwise have intertwined; once that fabric was complete, the loom fell away. However, from another vantage, the experience persists, through the actions of those affected by it.

I am not in touch with Fawn or other former members of Arol’s inner circle; I prefer not to comment on their activities or whereabouts.

As for me? When I left Zendik – with ten dollars and a medium-size backpack – I felt both freed and doomed: yes, it was a thrill to be out in the world, with no one watching me – but I couldn’t shake the death grip of my conviction that I’d betrayed my tribe, and all life, by vibing into exile. I believed I’d only be whole again if I went back, even as I knew that to survive I’d need to accept the fact that this might never happen.

In the first year or after my departure, I gradually reconnected with my family, made friends, created relationships with non-Zendiks, mated in the wild. Though I still saw the outside world as the “Deathculture,” I couldn’t help but notice, and be grateful for, the respect and kindness I regularly received. Nor could I ignore the contrast between this respect and kindness and the coldness I knew I’d encounter if I called the Farm. In October 2005, in the calm of my mother’s Brooklyn apartment (where I’d landed after a year of hitchhiking, homesteading, and farming, capped off by a forty-day trip around the world), I acknowledged that I did not wish to summon that coldness by making that call – and, finally, with the help of a friend, began to acknowledge the painful parts of my relationship with Zendik. A couple months later, prepared by my own explorations to receive new information, I read a book on cults that had been recommended to me by a fellow ex-Zendik – and was thrilled to discover that Zendik fit the description. That is, it was not a unique revolutionary movement solely responsible for saving life on Earth, and I was not betraying all I held sacred by staying gone. This new story allowed me to re-embrace the wider world, and start living my life as it pleased me.

Since then, I’ve had many adventures, chief among them meeting and being with my husband (no, we don’t have kids), writing and publishing my Zendik memoir (MATING IN CAPTIVITY), and creating a relationship with a (non-cult!) community called Earthaven (located in western North Carolina, not far from where Zendik used to be). I’ve had plenty of gigs and jobs, most of them highly irregular; my current project is making the transition – as I prepare to launch my book – from working for an hourly wage to attracting abundant income through sharing my gifts. Having composted the stinky guck of my Zendik experience into a fertile, fragrant understanding of the basic human needs for meaning, belonging, and ample social nourishment, I feel called to serve all my relations by using my words and presence to cultivate healing, and kinship, and joy. This call, I would say, represents an evolution of the quest for a tribe that originally led me to the Farm.

I started writing my Zendik memoir in January 2006; it will be published, by She Writes Press, on May 8, 2018. It was this project that galvanized me to commit to writing, recognize it as a process, and develop it as an art form. Yes, the story does interest plenty of people in America; it’s just that nowadays, in a book world turned upside down, each author must find her own path to publication, and I took a while to find mine. However, in retrospect, I’m grateful for my long and winding road, as it’s led me to a place that feels right. And I am beyond excited that my book is finally on its way to libraries, and bookstores, and many, many readers.

In answer to your last question, I’ll quote the final lines of the book’s epilogue: “I count a number of ex-Zendiks among my dearest friends. Vining through the ruins, human ties remain.”

Carico i commenti... con calma