A due anni e mezzo di distanza dal tenerboso e cupo "Venus Doom", che aveva riproposto alcune sonorità tipiche degli esordi, gli H.I.M. (acronimo di His Infernal Majest) tornano con il settimo lavoro in studio "Screamworks: Love in practice and Theory", prodotto da Matt Squire ed interamente registrato negli Stati Uniti.

Doverosa una premessa: coloro i quali hanno avuto la fortuna di leggere le interviste del singer Ville Valo alla vigilia del nuovo lavoro, potranno digerire in maniera più soft le importanti novità di sound introdotte dalla band. Ripudiato l'alcol (e il sound del full length precedente), i cinque finnici danno vita ad un lotto che, per forza di cose, dividerà la nutrita schiera di fans al seguito. Innanzitutto, vengono abbandonati gli accenni goth/doom presenti nel disco e successivi live targati 2007, per concentrarsi su un sound decisamente più diretto che, se da un lato allontanerà gli appassionati delle atmosfere tetre di marca himmica, dall'altro permetterà la maggiore fruizione mediatica di un disco decisamente orecchiabile e spensierato. Le liriche non sono cambiate, Valo prosegue nell'immancabile tema romantico (questa volta ispirato da una misteriosa relazione recente), ma, parere del recensore, scende in territori per certi versi imbarazzanti per chi apprezza il marchio di fabbrica HIM. Ma veniamo all'analisi dettagliata:

"In Venere Veritas": Il nuovo lavoro si apre con un pezzo diretto, che trasmette una stilistica mutata in fase di composizione. Nessuna atmosfera decadente, pochi richiami al passato. Le linee vocali di Ville Valo appaiono immediatamente volte alla luce, al velo di speranza, peraltro accompagnato da un sound tastieristico (Emerson Burton) per nulla simile ai lavori precedenti e che, semmai, tocca le atmosfere rilassate di "Deep Shadows And Brilliant Highlights" (2001). 

"Scared To Death": La vena romantico-poppeggiante si accentua nella seconda traccia di Screamworks. "Scared To Death" è infatti la prima ballatona che si candida a diventare singolo da classifica nel breve tempo, con buona pace dei nostalgici di "Venus Doom" e derivati. Non sono presenti, infatti, particolari elementi dark che avevano avvicinato (e non poco) gli amanti del genere goth/metal ai finlandesi di Helsinki. Tuttavia, l'ascolto resta gradevole fino alla fine, anche se complessivamente troppo mieloso. A tal proposito, il classico live di fine anno al Tavastia Klubi aveva fatto ben sperare sulla riuscita in studio di pezzi orecchiabili come questo. Nulla di tutto ciò: il sound generato dal buon Matt Squire (scelta discutibile viste le collaborazioni precedenti) rovina quanto di buono intravisto in sede live.

"Heartkiller": Da alcune settimane, gli HIM avevano proposto il primo singolo su Myspace, con tanto di videoclip in pieno stile. Ma anche in questo caso, il paragone con il passato non regge: "Heartkiller" risulta estremamente scialbo in confronto a capolavori del calibro di "The Funeral Of Hearts", "Join Me" oppure "Right Here in My Arms", arricchito (si fa per dire) da un orribile chorus finale che sembra richiamare nientemeno che ai Finley. Il tutto condito da un Valo in versione allegra e spensierata, in una veste non proprio tipica e che richiama forti sospetti sulle strategie di vendita adottate dalla band.

"Dying Song": I classici elementi elettronici non si fanno attendere neanche nella quarta traccia ma, fortunamente, quando Valo fa il Valo riescono ad emergere elementi interessanti. Un verso articolato trova esplosione in un ritornello che testimonia le qualità vocali del singer, al primo episodio fortunato di un lavoro sin qui troppo prevedibile; la pecca riguarda un Linde (chitarra) relegato ad assoli banali e del tutto diversi dagli aggressivi ed accattivanti episodi del precedente disco. 

"Disarm Me (With Your Loneliness)": Seconda ballata del lotto, questa volta più avvolgente nelle precise linee vocali di Valo. Molto musicare e coinvolgente l'accompagnamento di Burton e Linde (comunque dediti al sound misurato) che rende il pezzo gradevole in tutta la sua durata. Messo da parte l'imbarazzo iniziale per il repentino mutamento di stile apportato dai nostri, è possibile apprezzare la scorrevolezza di melodie che ben si adatterebbero ad un film d'amore a lieto fine. 

"Love, The Hardest Way": Un intro leggermente accattivante da il via alla sesta traccia di Screamworks. Inevitabile il richiamo al pop/rock dei tanto contestati The Rasmus dell'ultimo "Black Roses", senza dimenticare gli ormai scontati inserimenti elettronici tanto cari al 'nuovo' Valo amante dei Depeche Mode. Sarà pure passione, ma anche in questo caso i fan potrebbero di gran lunga preferire la versione live proposta per la prima volta nell'ormai fisso appuntamento del Tavastia. In certi casi verrebbe da farsi una domanda, o forse una provocazione: sono gli HIM o Matt Squire?

"Katherine Wheel": Per la settima fatica Valo ripesca alcuni elementi banditi durante la stesura di Venus Doom. "Katherine Wheel" è infatti l'ennesimo capitolo spensierato e carico di speranza proposto dai finlandesi, con un intro alla "Poison Girl" (Razorblade Romance) ma carico di melodie che sembrano richiamare ai giorni più felici di Ville e compagnia. Del resto, gli ultimi due anni lontano dagli eccessi devono aver fatto riflettere non poco. Da amante incondizionato degli HIM, siamo di fronte ad una palese semplicità dei pezzi, per certi versi ripetitivi e privi di quella magia a cui eravamo abituati in tempi non sospetti

"In The Arms Of Rain": Con la paura di aver smarrito gli HIM, ci imbattiamo nell'ennesima traccia ricca come non mai di suoni allegrotti. Chiaro il richiamo iniziale alla celebre "Right Here In My Arms" ma, ad onor del vero, il resto della composizione non sembra entusiasmare particolarmente. Il disco appare piatto, alla lunga ripetitivo per le tonalità e per stacchi ripetuti fino alla nausea. Scommetto però su una cosa: in sede live "In The Arms Of Rain" riuscirà a trasmettere sensazioni decisamente più rock. Cari HIM: Matt Squire era la scelta giusta?

"Ode To Solitude": La prima sferzata rock arriva solamente con il nono capitolo, questa volta aperto da atmosfere accattivanti come non mai, che tanto ricordano "Buried Alive By Love" dell'album Love Metal, salvo poi appiattirsi su un chorus in pieno stile The Rasmus e Negative. Il primo vero capitolo heavy dell'album si conclude con i primi significativi scream annunciati da Ville Valo nelle ultime interviste. 

"Shatter Me With Hope": La matrice aggressiva al punto giusto prosegue, con versi lavorati nel e un ritornello facilmente assimilabile dopo appena un ascolto. Linde riesce, forse per la seconda volta, a sprigionare i riff sabbathiani tanto ricercati nel precedente lavoro, ben supportato da un tono di voce aggressivo e decadente al punto giusto. Assolo di ottima fattura, promozione senza condizioni.

"Acoustic Funeral": Senza dubbio la miglior traccia dell'intero album: malinconica, lavorata, ricca di emozioni. Per un attimo ritroviamo gli HIM in versione duemiladieci, ma con una dose di innovazione degna delle band di un certo calibro. Ritornello che mette in luce tutto il lato malinconico di Ville Valo, finalmente espressivo dopo una fase di forzata allegria. Il finale romantico sembra ricongiungere due persone in un abbraccio che vuole cancellare tutto il doloroso passato, fino all'illusione dell'amore eterno. E di una apparente tranquillità.

"Like St.Valentine": L'intro elettronico viene subito spazzato da un riff di chitarra che tanto ricorda le ultime produzioni americane (sarà un caso?). Valo si cala nella parte con energia e vena poetica, seguito dalle leggere note di Burton e dalla potente batteria di Gas Lipstick. Ascoltare il finale per credere: in crescendo, aggressivo, irriconoscibile per un fan degli HIM della prima ora. In piena collisione con il titolo che richiama al San Valentino, la dodicesima traccia è una vera pugnalata nei confronti di chi si sarebbe aspettato l'ennesima ballata. Lo sfogo scream di Ville racconta, palesemente, avventure amorose da mettere alle spalle.

"The Foreboding Sense Of Imprending Happiness": La domanda sorge spontanea: è uno scherzo del disco o stiamo ascoltando gli HIM? L'ultima fatica della band sembra riproporre i Depeche Mode in tutto e per tutto, in quella che fu la strada seguita dai Paradise Lost nel periodo "Icon", "One Second" per intenderci. Valo mescola elementi puramente elettronici ad una voce compassata e decisa ad accompagnare le melodie decadenti. Dall'ultima traccia era lecito attendersi qualcosa di diverso, ma la svolta, annunciata, era effettivamente completa.

In conclusione, gli HIM pubblicano il settimo album con la chiara ambizione di sconfinare in territori mai toccati in precedenza. La band, nota di merito, non ha mai prodotto dischi spudoratamente uguali nel corso degli anni, ricercando sempre una miscela nuova che vada ad impreziosire una discografia varia. Missione compiuta? In questo caso, salvati a dovere due o tre brani di indiscussa fattura che potrebbero presto diventare pietre miliari nella collezione himmica, diventa difficile risparmiare aggettivi come ripetitivo, eccessivamente allegro, passando per il grave 'costruito a tavolino' che tanto farebbe arrabbiare Ville Valo. L'impressione è che il singer abbia scelto una strada difficilmente percorribile per la sua band e, personalmente, non posso che augurarmi un ritorno alle sonorità oscure e decadenti. Ricordate "Deep Shadows And Brilliant Highliths" del 2001? Bene, aggiungete un tocco di "Dark Light", una produzione da punk-rock americano ed avrete questo "Screamworks: Love In Practice And Theory". Soddisfatti? Il giudizio, a conti fatti, è negativo per tre quarti della produzione.

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