Dalla Finlandia, per l'ottavo album in studio (il primo sotto la nuova etichetta Razor & Tie) tornano gli HIM, acronimo di His Infernal Majesty, una delle band più controverse dell'ultimo ventennio nel panorama Rock-Metal dalle tinte melodiche. Prima di tuffarci nell'analisi dettagliata delle tredici tracce registrate presso i Finvox Studios di Helsinki con l'ausilio della squadra tecnica storica, Tim Palmer su tutti, è bene fare una premessa: la band capitanata da Ville Valo è giunta a questo risultato non senza tumulti e preoccupazioni che, negli ultimi tempi, avevano persino messo in dubbio l'effettiva continuazione dei cinque finnici dalle scadenti doti sociali. Motivo? L'interruzione del rapporto con la Warner, in primis, apparso piuttosto burrascoso stando alle indiscrezioni, ma anche un serio problema al braccio per il batterista Gas Lipstick (Mirkka Karpinnen) fermo ai box ben otto mesi, tanto da mettere in preventivo addirittura un clamoroso scioglimento, come confermato di recente dallo stesso Valo.

Esaurite le dovute delucidazioni di natura 'informativa', i tanti fan hanno atteso ben tre anni per la produzione di questo 'Tears On Tape' che, lo diciamo subito, appare come il disco più sporco dell'intera produzione himmica, seppur moderno nel sound e sospinto nel mainstream dall'egregio lavoro di produzione svolto dal duo Hiilesmaa-Palmer. Un taglio (quasi) netto rispetto al precedente 'Screamworks: Love In Theory And Practice', che aveva deluso non poco per staticità strutturale e un certo clima ruffiano che, se si escludono i testi, aveva portato gli HIM nel mondo pop/rock a piene mani. Il risultato scadente delle vendite, però, avrà spinto Valo&Co. ad un doveroso quanto dignitoso passo indietro. Ma siamo soltanto nel ventaglio delle supposizioni. Chissà.  

Musicalmente parlando c'è subito una sorpresa. Ben quattro le tracce strumentali, una vera e propria novità assoluta, ad iniziare dall'apripista "Unleash The Red", un vortice ombroso di un minuto o poco più aperta da un nastro di cassetta pronto a trasmettere, schiacciato drasticamente dal riff di 'All Lips Go Blue', che riporta (incredibilmente) alle atmosfere del fortunato e ormai storico primo disco della band, quel Greatest Lovesongs vol.666, riassaporato nei sussulti di Valo e nel sound sostanzioso apportato dalle chitarre, contenute soltanto da un ritornello facilmente assimilabile, colonna sonora di questo avvio. Più morbide le tematiche di 'Love Without Tears', dall'appeal decisamente più catchy nonostante un interludio in stile Black Sabbath assolutamente inatteso, che quasi avvicina l'ascoltatore alla furiosa e diretta 'I Will Be The End Of You', una nuova Right Here in My Arms rivista in modalità oscura, dalla struttura meno scontata e più accattivante.

Gli episodi più aggressivi, si prendono quindi una lunga pausa, tant'è che le successive 'Tears On Tape' e 'Into The Night' (non a caso singoli mirati per il mercato tedesco e non solo) riportano le atmosfere su binari prettamente modern-HIM, brani azzeccati e dall'impatto iper-melodico grazie alla eccelsa resa di Valo, in primissimo piano con falsetti e parti baritonali che faranno di nuovo strada tra le dark lady piuttosto giovani. Lo stereo torna a vibrare nella inattesa 'Hearts At War', aperta da un riff heavy e conclusa da un gradevole rallentamento doom che riporta i cinque finnici alla produzione del 2007 (Venus Doom) seppur per un breve momento. 

La seconda parte del disco, però, cala visibilmente. Ed è un riscontro oggettivo. Le idee scarseggiano, gli interludi (ben tre!) risultano leggermente forzati, almeno fino alla suadente 'Drawn & Quartered', condotta magistralmente per atmosfere e ritmiche, ma non riuscitissima nella parte finale, causa un cantato non proprio azzeccato nello stile, per certi versi fuori luogo in un brano che non necessitava di stravolgimenti strutturali così marcati. Ambigue o se vogliamo ansiose le brevi 'Lucifer's Chorale' e 'Kiss The Void', quest'ultima scelta per chiudere il lotto, tormentata da un nastro difettoso e interrotto bruscamente quasi ad indicare il senso di vuoto che avvertiranno i fans all'ascolto. L'esperimento è riuscito, ma una nota di merito (non a caso lasciata in ultimo) va alla sorprendente 'When Love Starts To Die', rinominata più semplicemente 'W.L.S.T.D.', un brano in cui gli HIM ripescano in tutto e per tutto nei cari Type O Negative, una sorta di reinterpretazione dello stile apportato dal sempre compianto Peter Steele, note gravi su un tappeto ritmico che scende vertiginosamente quasi a voler raggiungere gli inferi. Ascoltare per credere. Del resto, la stessa band finlandese iniziò la propria carriera suonando cover degli americani Type, e dalle stesse parole di descrizione della vigilia, il trentaseienne di Helsinki aveva chiaramente palesato l'intenzione di omaggiare buona parte degli artisti ispiratori. 

In conclusione, 'Tears On Tape' riporta gli HIM in una posizione più accettabile rispetto al precedente lavoro, pur mostrando un inevitabile calo rispetto agli inarrivabili 'Love Metal' e 'Razorblade Romance', vere e proprie pietre incastonate nel decadente genere scandinavo apparso recentemente in crisi. Cresciuti i fans, è giunto il momento della crescita anche per una band ormai vicina (mediamente) alla soglia dei quaranta anni, con i dovuti pro e contro. Se invece non avete apprezzato il 'plastificato' Screamworks datato duemiladieci, questo disco vi sembrerà assolutamente memorabile, un mix della produzione himmica con un sound meno ripulito del solito, gradevole, farcito da vocalizzi e parti tastieristiche/atmosferiche facilmente riconducibili ai pionieri del love metal. Detrattori e sostenitori saranno, forse, d'accordo su un solo punto: gli HIM sono unici. Nel bene o nel male.  

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