Sul piazzale antistante la Parrocchia di Nocera Terinese l’atmosfera diventa bollente, quando l’annunciatrice scosciata sale sul palco ad annunciare i Teppisti dei Sogni.

Il pubblico si è già scaldato con l’esibizione delle scuole di danza del lametino, oltre che con i trenta gradi serali. Ora però le nonne taglie forti e le mamme con passeggino vengono educatamente allontanate per fare spazio alla moltitudine di fans di una delle storiche formazioni del pop melodico mediterraneo.

Se sono qui è colpa, pardon, merito di Giuseppe, il mio vicino di casa in terra calabra.

L’ho trovato due sere fa, tutto mortificato, seduto su una panchina del nostro residence.

-Oh, Giusè, che c’hai?- gli ho chiesto.

Giusè mi ha spiegato quanto fosse triste, perché l’indomani c’era l’esibizione dei Teppisti dei Sogni, alla festa della birra qui vicino, a Nocera Terinese. E lui non ci poteva andare, che doveva accompagnare in qualche posto la mamma Rosina con le zampe gonfie e quindi poco deambulante. E sarebbe stata la seconda volta che li mancava, in quanto se li era già persi la settimana scorsa, quando si erano esibiti a Soveria Mannelli, per la Sagra della melanzana cunzata.
-Vabbuò, Giusè- gli ho detto -magari faccio un salto a ‘sta festa della birra, così ti dico come sono andati.-

-Bravo!- mi ha risposto commosso -Musica come quella dei Teppisti dei Sogni non se ne fa più in Italia.-
-Ma che musica fanno?- gli ho chiesto candidamente.
Giuseppe su questo punto si è un po’ incasinato, e alla fine per spiegare i loro riferimenti con le braccia ha tracciato un semicerchio, come un arco che parte da Mino Reitano attraversa gente come i Santo California e termina con i Pooh.
E conclude: -Insomma, sono dei melodici, via.

A Giuseppe non glielo dico, che più che i Teppisti dei sogni sarei interessato alla birra, ma alla fine quel che conta è che questa sera ci sono anch’io, tra il pubblico in trepidante attesa per l’inizio del concerto.

Ma ecco che zompano sul palco quattro tizi combinati a metà strada tra nonni dei Blues Brothers ed insegnanti di ginnastica in pensione.

Dopo i saluti di rito del frontman, lo spettacolo prende subito il via. Partono con tastiere languide, una chitarra evocativa ad introdurre le prime strofe di una canzone triste in cui un uomo solo nella sua cameretta si dilania x l'amore fuggito via. C'è un attimo di panico nel pubblico, quando cantano di una mano che scivola giù sul lenzuolo, una piccola pausa, ma la mano si indirizza sul cuscino che odora ancora del profumo dell'amata in fuga.
Ecco, nei testi delle canzoni successive, questo tema dell'abbandono da parte della donna emerge come topos ricorrente. Insieme al leitmotiv dell'emigrante.
Anche se non mancano divagazioni su temi più filosofici ed ardite fantasie, come nella canzone Se io avessi le ali, titolo prontamente corretto da una ragazza accanto a me: -Se io avessi le ali? Ma non si dice se io avrei le ali?-
Lo show prosegue con un alternarsi di melodie struggenti sorrette da tastiere sognanti e pezzi più briosetti, dove si lanciano anche in similriff di chitarra e gorgheggii del vocalist, fino ad arrivare alla loro super hit storica: Piccolo fiore dove vai. Anche qui, il piccolo fiore in questione pare andarsene via per il mondo senza considerare l’amore offerto dal cantante.
E con questa ne ho abbastanza. Essendo pur sempre ad una festa della birra mi rifugio in una media bionda, arrovellandomi su un ultimo dubbio: ma per quale minchia di motivo questi si sono chiamati così? Avranno voluto intendere che sono teppisti sognatori? O forse che sono teppisti duri e puri, tali da scatafasciare qualunque sogno? Boh, quando torno a casa controllerò su internet, intanto che restauro i timpani con qualche ascolto del debasio.
Con Giuseppe presto regolo i conti.

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