La “mia” nobiltà dell’anima sostanzialmente si caratterizza nel predominio pressoché assoluto della passione, della frenesia, dell’insensatezza, dell’istintività su tutto ciò che è logico, ragionevole e razionale. Cosa c’entra?! C’entra, c’entra, c’entra sempre perché è alla base di ogni cosa.... poi “tutto torna”.

Quindi per rimanere in ambito musicale e “leggero” ci sono dei gruppi che ho nel cuore da sempre senza sapere il perché. Non fanno precisamente la “mia” musica, non hanno particolari che mi conquistano, non subisco il fascino dei singoli musicisti.... quindi non mi spiego, apparentemente.

È la cosa più bella. Tutto ciò che è misterioso mi ammalia e mi regala sferzate di energia.

A me è accaduto, da subito, con i Mott The Hoople.

I Mott sono la classica band di culto se c’è ne è una. Successo poco, fama ancora meno, una schiera di fidati ammiratori che li amano e tanta stima da parte dei colleghi. Ah dimenticavo, la cricca/critica musicale ufficiale li esalterà nei decenni successivi allo scioglimenti dopo averli trascurati durante la carriera (niente di nuovo).

Per quanto mi riguarda amo tutto di loro, anche le cose meno riuscite. Sono quei famosi misteri dell’anima. Mi rendo perfettamente conto che la stessa canzone suonata da altri non mi affascinerebbe certo in quel modo. E’ quel feeling inconscio e occulto che rende il rapporto meraviglioso.

Il loro sound era il perfetto e sorprendente mix delle caratteristiche e dei gusti musicali dei due leader; se il chitarrista Mike Ralphs era fortemente legato ai suoni hard rock blues delle grandi band del periodo come Free o Led Zeppelin, il cantante e musicista Ian Hunter aveva invece gusti più vari e attingeva dal rock al pop, dalle tante loro sfaccettature.

Finirono per essere accostati al genere glam, a mio parere più per la loro amicizia con Bowie che non per il tipo di musica. Poi la storia ci dirà che il loro più grande successo commerciale fu quella “All The Young Dudes” scritta e prestata loro dal David. Il Duca Bianco ha il grande merito di aver dato più visibilità mediatica ai Mott e di averne posticipato lo scioglimento.

Se è vero che i loro dischi non vendettero complessivamente molto, si narra fossero al tempo uno dei gruppi dalle esibizioni live più belle ed intense. La stima dei colleghi è dimostrata dai due più importanti gruppi rock dell’epoca; Zeppelin e Rolling quando potevano andavano a vederli.

Non dimentichiamoci, inoltre, che vennero prodotti da quel nobile folle di Guy Stephens che di orecchio, ma soprattutto di anima, ne aveva come pochi.

“Che elettricità, che intensità maniacale [...] Non è semplicemente “una sessione come un’altra”: io odio la gente che ha questo atteggiamento. È elettricità pura. Deve essere così. Può darsi che per una casa discografica come la CBS sia difficile accettare un concetto simile, ma io potrei benissimo morire facendo un disco. E’ troppo importante. Ecco perché, all’occorrenza, io posso produrre chiunque.” Guy Stephens, appunto. Uno che s(ragiona) così è un grande Nobile...... e “tutto torna”.

Con i Rolling nacque una stima/amicizia mentre registravano in studi attigui nel 1970, i Mott “Matt Shadows” ed i Rolling “Sticky Fingers” agli Olympic Studios a Londra. Con gli Zepp, le nobili leggende del Rock, narrano anche di una goliardica rissa ad un loro concerto che fece “epoca” (la rissa o il concerto?! O entrambi?!)

Un sound con tanta classe, una Band da strada e da teatro insieme. Questo ho sempre pensato di questi Nobili.

Non ho mai seguito le carriere soliste di qualcuno uscito dalle mie band del cuore. Parecchi anni dopo, forse, di alcuni, ma nell’immediato neanche di Plant e Ozzy, per citarne un paio di quelli scomodi.

Da ragazzo provavo fastidio, persino avversione... speravo non avessero successo.
Già allora cuore e anima dominavano la ragione. Perché avevano lasciato il gruppo?! O perché il gruppo si era sciolto?! O perché volevano “andare da soli”?! Non prendevo neppure in considerazione le ragioni più ovvie. Per me era un tradimento. Uno dice: “beata gioventù”, ma la risposta è “col cazzo sono ancora così, un pochino meno intollerante, ma rimango tale”.

Nonostante la tendenza da parte degli altri nel riconoscermi caratteristiche da leader (parolone brutto e capitalista, ma ci siamo capiti), ho avuto da sempre innato un enorme spirito di gruppo. Per me gli Amici erano tutto, la Compagnia la vera famiglia, la Strada la prima o una seconda casa a seconda delle situazioni del momento.
Troppo facile dire che era così “perché a casa non sentivo di avere una vera famiglia”.... forse anche questo, non saprei dire anche dopo fior fior di “analisti” (tutti esauriti) …e comunque il motivo non ci interessa.

Per gli amici e le persone a cui tengo ho dato tutto - e pure ora totalmente isolato, se chiamano per ragioni in cui devo esserci - parto e agisco immediatamente.

Fossi diventato uno sportivo di livello sicuramente avrei sempre giocato nella stessa squadra anche rinunciando a soldi e vittorie. Per me non c’è nessun valore più grande nel dare tutto ciò che puoi per aiutare il gruppo. Per questo mi viene naturale amare i giocatori e le persone di temperamento e generosi. Aggressivi e “cattivi” per la causa comune. Mangerei la terra per i tifosi che pagano e fanno sacrifici, darei l’anima per aiutare un compagno in difficoltà. Lealtà, gratitudine e generosità. Mai mollare, troppo facile.

Per questo odio le fighette con tanto talento avuto in dono che non supportano con una adeguata dose di dedizione e sacrificio.

Cosa c’entra?! C’entra, c’entra .... “Tutto torna”.

Comunque, ovvio che, coerenza vuole, lo stesso “trattamento” lo riservai a Ian Hunter mentre Mike Ralphs continuai a seguirlo da subito quando, uscito, formò con Rodgers, Kirke e Burrell i Bad Company. Ma giusto perché erano il primo gruppo prodotto dalla Swan Song ed “entrarono” nel mio giro Zepp e “amici”, altrimenti non avrei cagato neanche lui.

Mentre le Greatest Hits classiche con i pezzi più famosi buttati lì, lo sappiamo, non servono a nulla, considero ottime questo tipo di raccolte. Se vuoi conoscere, nel miglior/veloce modo possibile, un musicista con una discografia rilevante può essere l’inizio giusto.

Nel caso specifico mi ha permesso una conoscenza qualitativamente valida sull’attività solista di Hunter nel decennio successivo all’uscita dai Mott (nove anni per la precisione). Dal ‘75 all’83, sei album in studio più un live ufficiale. Poi non registrerà più nulla sino al ‘90, poi ne registrerà altri 13 venendo ai giorni nostri.

Un animale Ian, un rocker vero da sempre.

Tutti i 45 giri in ordine cronologico mi danno la possibilità di ascoltare sia i pezzi più “famosi” (lati A per capirci) ma soprattutto le chicche che spesso si nascondono nei lati B del singolo. La cronologia è la seconda cosa fondamentale; pur con pochi pezzi per album posso farmi un’idea di come si è evoluta la musica nel tempo.



La collezione possiamo dividerla in due parti.

La prima, fortunatamente per me più corposa, è formata dai singoli dei primi 4 album e da un medley estratto dal live "Welcome To The Club".

"Ian Hunter", "All American Alien Boy", "Overnight Angels" e "You're Never Alone With a Schizophrenic" sono quattro album che per gli appassionati dei Mott the Hoople saranno una delizia. Il suono è quello, spesso, ad alti livelli.

Qui c'è tutta la carica, il talento e la varietà musicale di questo Signore.

Non dimentichiamoci che Hunter è un classe 1939 e che quando entrò nei Mott era già un "vecchio" trentenne con moglie e due figli. Uno di quelli che da ragazzino ha cominciato a strimpellare mentre nasceva il rock'n'roll, che ci ha provato durante tutti i siixties. Fino a quel momento con pochissima fortuna.

Ma questo Signore non ha mai mollato. Troppa passione e la giusta dose di irrazionalità. (“Tutto torna”)

Ecco perché, probabilmente, la musica dei Mott e di Ian abbraccia così tanti generi ed è difficilmente catalogabile. Questo Signore attinge dal Rock, dal Soul e dal Funky, dal Garage, dal Rhythm and Blues, dai Songwriters dell'epoca (a Dylan soprattutto sarà sempre devoto).

Per questo già dallo splendido iniziale rock'n'roll sballato di "Once Bitten Twice Shy" si inizia un percorso, nella prima abbondante parte, meraviglioso.

Le sue amate, stupende, svogliate ballate come ad esempio "3.000 Miles From Here" , "Rape", "The ballad of a Little Star", il garage di "Who Do You Love", sani pezzacci rock come "England Rocks" o "Wild n Free". Amo particolarmente i brani dove il suo rock abbraccia il soul, con cori e i fiati che donano calore al sound, come in “All American Alien Boy” e You Nearly Did In Me”.

E il suo amato pianoforte e la chitarra che si alternano nel dominare i pezzi. E soprattutto la sua voce scoglionata, scostante e sballata, a volte al limite della stonatura, ma che ti ammalia e intriga perché senti che dietro e dentro quel fare scazzato c’è invece un livello di intensità non comune.

Nel quarto (e guarda caso il suo album di maggior successo commerciale a cui infatti la casa discografica ha fatto seguire subito il live) continua tutto alla grande anche se qualche segnale di troppa attenzione al mainstream si nota da subito. Ma è normale eh, che pure uno che non si è mai svenduto per i soldi, consciamente e/o non si sia lasciato un poco andare in merito.


- se è per questo sarebbe infatti stata sufficiente una riunione Mott The Hopple negli anni ottanta/novanta per vendere un bordello con le attenzioni ai gruppi passati che vi erano in quel periodo. Le pressioni si dice siano state tante, ma che proprio Ian abbia sempre rifiutato - (inciso, per capirci)

E comunque oltre a "Cleveland Rock" che diventerà il suo pezzo più famoso (con tanto di "chiavi della città" donate dal sindaco negli anni successivi) anche gli altri pezzi sono sempre molto godibili. In particolare "Bastard” mi piace un casino con quell'elettronica (?!?!) incessante e ossessiva... sto invecchiando male, è un fatto.

Dopo il medley dall'album live, arriviamo ai singoli degli ultimi due album "Short Back'n' Sides" e "All The Good Ones Are Taken". Qui gli anni ottanta ed il loro "splendido" sound tra il pop più commerciale, l'hard più dozzinale e l'elettronica più insulsa (a me, ovviamon) prendono il sopravvento. Ma sono solo gli ultimi sei pezzi di ventisei...saltateli!!!! ahahahahahahahahah. Oppure a qualcuno piaceranno pure, chissà.


Ho colmato, almeno in piccola parte, questa mia ulteriore grave mancanza.

Ian Hunter, grande musicista, vero rocker nel senso più genuino della parola... con quei suoi occhiali (problemi agli occhi) e quella capigliatura che divennero il suo inconfondibile look, merita questo e altro e tutti voi che amate i Mott The Hoople lo sapete.

Ma ancor di più lo meritano il suo trasporto, la sua anima e il suo non mollare mai... perché ricordo che questo Nobil Signore gira ancora in tour a quasi ottant’anni con l'energia e la voglia di un ragazzo e non certo per denaro.

Diceva poco tempo fa, di se stesso, rispondendo ad un intervista : “Ian Hunter , oggi è un uomo delle terza età che però non ha perso quella scintilla che aveva quando aveva venticinque anni e che non riesce a smettere di fare questa vita. Sono praticamente sordo, come avrai capito dal mio tono di voce e dalle volte che ti ho chiesto di ripetermi le domande, ma non sono domo e non lo sarò mai. Ho quasi ottant’anni ma non ho paura del futuro, non ho mai avuto paura della morte. I due autori che citi (Dylan e Cohen) sono sempre stati fonte di ispirazione immensa. In particolare Dylan, non ho mai nascosto il mio amore per lui......”

Passione, frenesia, irrazionalità.... tra Nobili, alla fine.... “tutto torna”

È così, dopo Ray Davies, mi sono aggiustato anche con Ian.

Ora sto, un pochino, meglio.

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