Ian Hunter è un musicista molto bravo che ci ha messo circa quarant’anni a capirlo, dopo che il successo l’ha sfiorato, irretito, sedotto, illuso e poi - ovviamente - abbandonato. Deve essere riuscito a rendersene conto attraverso il plauso incondizionato che gli tributano i suoi fan ma anche grazie a considerazioni più prosaiche tra le quali - ad esempio - il fatto che ci sono più di 50 sue canzoni coverate in giro (da artisti tra cui Great White, The Presidents of the USA, Status Quo, Blue Oyster Cult, Bonnie Tyler, Barry Manilow, The Pointer Sisters, Willie Nelson, Thunder, etc.) , rendendosi così finalmente conto che se c'è tanta gente che lo ama, in quello che fa ci deve essere qualcosa di buono per forza. Avendo quindi raggiunto la consapevolezza di essere finito nell’olimpo del rock ‘n’ roll grazie alla fede dei suoi fan, ecco che ora il nostro può permettersi di divertire senza svendersi, di proporre senza spiazzare, di essere semplicemente sè stesso.

Così questo è quello che fa da un pezzo il signor Ian Hunter, uno dei grandi sopravvissuti del rock inglese dei mitici ‘70, fondatore dei Mott the Hoople, che avrebbero potuto (o forse anche dovuto, ma si sa, il destino) essere più spessi di Bowie, più tosti dei T-Rex, più cazzuti degli Slade e sicuramente più degni di Gary Glitter. e che invece - dopo avere fatto le turnèe negli states dal 70 in avanti con i Queen in nuce (si, esatto proprio quelli) come supporto non fecero nulla di tutto questo. Lasciati nel '75 i Mott al loro (un po’ triste ) destino, Ian in quel del 75 fece le valigie e si mise a fare cose sue. Che ha continuato a fare nei 22 anni trascorsi da allora, tra cui naturalmente concerti, in numero non enorme e per la maggior parte di solito negli Stati Uniti (dove vive) ma senza dimenticare mai la madrepatria e il vecchio continente.

Quest'anno la sua tournée europea è partita da Parigi, dove il 12 maggio ha fatto un bellissimo concerto semi-acustico al New Morning, un piccolo locale nel - se non mi ricordo male - 10° arrondissement che ha fornito una cornice perfetta per il centinaio di persone corse a vedersi l'ormai ex "original mixed-up kid", che a 67 anni compiuti è salito sul piccolo palco, si è accomodato sulla sedia di plastica - il chitarrista elettrico John Mastro da una parte e il batterista Steve Holley dall'altra - ha imbracciato una delle innumerevoli chitarre che aveva a disposizione, ci ha detto "Era il '75, c'era Mick Ronson che suonava... avevamo una di quelle prime drum machine che aveva solo tre tempi: rock, lento e samba... Mick disse "Schiaccia tutti i bottoni!"... e questo è quello che è venuto fuori" e poi è partito con "Once bitten twice shy".
Il concerto è stato veramente fantastico. Un uomo e la sua musica. Il mix sonoro tra l'acustico e l'elettrico - che era previsto solo per i quattro concerti di inizio tour, quindi un esperimento e una rarità al tempo stesso - era bello pieno ed aggressivo con la batteria che - senza esagerare ma anche senza limitarsi troppo - non invadeva il campo di nessuno, e per alcuni pezzi, prima del finale, il nostro è anche passato al piano. Come dire? Acustico? Wow, it rocks! :). Assaporare un suono simile è stato unico: una sorpresa inaspettata e un risultato eccezionale.

Con una voce in gran forma e una gran voglia di usarla facendola arrivare fino e oltre dove era lecito aspettarsi, il signor Gianni Cacciatori ha passato in rassegna quasi tutto l'ultimo album ("Shrunken heads") che essendo molto bello - la cosa migliore che fa da "All of the good ones are taken", se posso dire - non ha fatto rimpiangere che troppe belle cose di ieri siano rimaste nelle corde della chitarra, e pezzi come "Twisted steel" e "Seeing double" li ha fatti apprezzare come mai prima. Tra mandolino, Fender e steel guitar il chitarrista James Mastro ci ha dato dentro di suo, dimostrandosi un contraltare perfetto alla verve interpretativa di un musicista che sa regalare emozioni sempre nuove semplicemente interpretando sè stesso, tranne che alla fine quando con un criminale atto di lesa maestà ha ciccato l'assolo iniziale di "All the young dudes" facendo fermare gli altri due che - specialmente Hunter - l'hanno guardato come se avesse spalmato merda sulla Gioconda... Sinceramente ci sono rimasto un po' lì... voglio dire, non l'avesse mai fatta prima, cazzo!

Comunque, episodio sciagurato a parte, 10 e lode a tutti e naturalmente il rammarico per non avere mai avuto e non avere a quanto pare neanche in questo tour (le date europee fino all'estate sono UK - Spagna - Scandinavia e quelle di ottobre sono di nuovo in Inghilterra) Ian Hunter qui in Italia a suonare per noialtri vecchi fans e - se qualcuno capisce ancora qualcosa di musica - per quelli nuovi che hanno voglia di sentire uno che dopo avere scritto pezzi immortali con le sue mani ha detto "Ho voluto la fama, ma poi non c'è niente quando arrivi là... L'unica cosa importante per me è cosa viene dopo. Vali solo per quello che farai dopo, il resto non conta. Puoi immaginarti un campo dove da un branco di mucche ne è rimasta una sola? Quello è il successo: rimanere.".

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