Non ci sorprendiamo più di nulla, figuriamoci per del punk suonato nel 2013.
Sono il meno titolato per parlare dell'ultima “fatica” discografica di una band come gli Iceage, anche perché io del punk conosco giusto l'abc. I più intransigenti e mal disposti a cedere alle lusinghe dell'hype del momento si potrebbero quindi sdubbiare, mentre coloro che rimasero folgorati dal promettente debutto “New Brigade”, che un paio di anni fa portò alla ribalta internazionale questi quattro scapestrati poco più che adolescenti di Copenhagen, potrebbero sbottare “come?, solo 4??, alla nuova sensazione del punk degli anni duemiladieci???”. Ma che debbo dirvi amici miei, l'album mi piace e ogni tanto mi ci vuole qualcosa di diverso: “You're Nothing” suona fresco, è adrenalina, è carico di energie, piace, stordisce, decomprime. Gridare al capolavoro rimane però un'esagerazione (si parla pur sempre di punk suonato nel 2013).
“You're Nothing” scheggia come un treno che corre via a tutta velocità, non arriva giustamente alla mezz'ora, non ne ha semplicemente bisogno, raggiunge immediatamente i propri obiettivi (obiettivi di breve termine), non presentando alcun cenno di cedimento: in mezz'ora gli Iceage rimodellano in un'inedita ottica decadentista la materia punk (esiste l'etichetta dark punk?), consegnandoci un lavoro amaro, oscuro, personale, che di sicuro potrà presentare più di uno spunto di interesse per chi come me non si può definire un appassionato del genere nella sua forma più canonica.
Il riffing furioso ma non privo di melodia di Johan Suurballe Wieth; la voce sgolata di Elias Bender Ronnenfelt, che sembra entrato in studio con il fiatone di chi ha appena corso una maratona di 40km; l'apocalittica sezione ritmica composta da Jacob Tvilling Pless (basso) e Dan Kjaer Nielsen (batteria): i nostri guardano prepotentemente al passato, più precisamente al punk britannico di fine anni settanta e all'hardcore old school made in U.S.A. di inizi ottanta, dove però le dissonanze, il furore noise, il drumming marziale, gli slogan che bruciano in gola sono ingredienti che rendono il quadro più complesso.
Non è un equilibrio facile quello che raggiungono i giovanissimi Iceage: nichilismo e riottosità suburbana copulano selvaggiamente nel corso di queste dodici schegge impazzite che traboccano disagio, mal di vivere, degrado. Aiuta una produzione sporca e caotica che tuttavia sa ben valorizzare l'operato individuale dei quattro musicisti, che senz'altro non sfoggiano una preparazione da conservatorio, ma sanno come ottenere con grande effetto quel che cercano. Perché hanno l'ispirazione e riescono ad aggiornare lo starnazzare del punk più becero a quell'era glaciale che è la loro, la nostra contemporaneità, cogliendo gli spasmi invisibili di una gioventù sfibrata che non sa più sognare né rivendicare i proprio diritti: uno spirito decadentista che miracolosamente non finisce per cozzare con la rabbia e lo sdegno, e che sposta l'asse verso il labile confine con territori più propriamente post-punk (si legga anche primissimi Joy Division, macchevvelodicoaffare!).
In fin dei conti il post-punk non deriva dal punk?, ma se l'affermazione di questa banalità fosse il contributo della musica del quartetto danese, allora potremmo chiudere la saracinesca del garage ed andarcene tutti a casa. C'è piuttosto un'altra cosa che subdolamente ci suggeriscono gli Iceage (ma è solo un'intuizione appannaggio esclusivo delle anime più sensibili), ossia che anche il black metal proviene del punk. E gli amanti del black metal, infatti, non potranno sogghignare innanzi ad infausti impasti sonori, intrisi di epica malinconia, che tanto gli ricorderanno i sapori tipici della cantina norvegese.
Direi che a questo punto potrei smettere di scrivere cazzate, vi risparmio il track by track e mi riterrei soddisfatto se vi lasciassi almeno con il senso globale di questo album: l'idea di essere agguantati dalla ferocia di un lupo dalla spina dorsale scardinata. Furia cieca ma anche molta, molta amarezza nelle parole e nella musica di questi ragazzi che con inaspettata maturità ci regalano uno degli affreschi più vividi ed impietosi dei nostri tempi.
Una chance gliela darei.
Elenco e tracce
Carico i commenti... con calma