Il progressive italiano è stato amato e snobbato al tempo stesso da molte persone, ed è spesso stato apprezzato di più all'estero che qui. Gruppi come Locanda delle fate, Metamorfosi, Pierrot Lunaire, Pholas Dactylus e Garybaldi non sono certamente passati alla storia come altri gruppi (cito solo PFM, Le Orme e Banco). Indubbiamente fa parte di questa fascia di gruppi anche Il Rovescio Della Medaglia, che ha pubblicato solo 3 album nella propria carriera degli anni 70. Così, mentre i più famosi gruppi dell'it-prog facevano il loro (diciamo pure porco) successo (sebbene giustamente), questi altri gruppi venivano rimossi ingiustamente dalla memoria dei rocker italiani.
Il loro primo album fu "La Bibbia", edito nel 71, un concept che riprendeva in generale i primi capitoli del testo sacro. Un ottimo esordio con canzoni impegnate, anche se non totalmente innovative (Sodoma E Gomorra va sicuramente ricordata e osannata per il suo splendore). Nell'anno successivo viene pubblicato "Io come io", con il quale comincia a farsi sentire non solo lo stile effettivo della band, ma anche il tema che forse li interessa maggiormente: lo studio dell'essere e della personalità.
Arriviamo dunque al 1973, che segna l'anno della vera svolta del gruppo, che si presenta con un progetto più che mai ambizioso: conciliare la musica classica col progressive (cosa che fino ad allora solo Zappa era riuscito a concepire sapientemente). Il tema principale dell'album diventa perciò, come da copertina, "di alcune idee di certi preludi e fughe del ‘Clavicembalo ben temperato' di Johann Sebastian Bach". Molti si sono scontrati verbalmente sull'importanza o sulla riuscita della suddetta opera, e io mi schiero radicalmente dalla parte del "ce l'hanno fatta, eccome". L'album che ci troviamo davanti non è solo sperimentazione da giovani band ambiziose, ma anche la certezza che l'ambiguo progetto è possibile. E anche qui, appunto, si presenta in un certo modo il tema dell'io, della confusione mentale (cito a memoria - poco affidabile: Mi son svegliato, non so più che musica facevo...). Ed è proprio questo che dà titolo all'opera, la "Contaminazione" della vera musica (quella che forse può essere definita primordiale, la prima vera espressione del suono, cioè la classica), con la modernità, la musica dei comuni mortali, destinata a scomparire, prima o poi. E' questo che rende quest'opera unica, quel pizzico di eternità che solo J. S. Bach sa infondere. Non sto dicendo che questo album verrà ricordato per sempre (anzi è ignoto al 98% della popolazione mondiale), ma che va obbligatoriamente riscoperto, per sentirci fieri di almeno una realtà che ha attraversato l'era del rock, ma di cui pochi si sono accorti.Non descriverò neanche un brano di questo album, che dà vita ad emozioni che neanche io avrei mai potuto immaginare. Ed inoltre è tutto riassunto in quello che rappresenta la perfetta conclusione dell'album, "La grande fuga".
Chi saprà accostarsi a questo album con pazienza e un po' di ottimismo, vi scoprirà un Capolavoro con la c maiuscola. Niente scherzi. Solo un sogno che non scorderete mai.
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