Gli Imagine Dragons sembravano essersi incanalati su un buon binario, quello della maturità, con il primo “Mercury”, ci avevano proprio illusi, mentre il secondo capitolo già in parte ci faceva mangiare le mani, alternava brani molto buoni e di classe a commercialate pazzesche; eppure alla fine non era neanche male, quelle commercialate a pensarci bene erano in un certo senso anche perdonabili, non troppo malvagie… le criticai perché non avevo visto (o meglio, non potevo vedere) cosa sarebbe arrivato dopo…
Il dopo si chiama “Loom” ed è, stavolta sì, una commercialata assurda, la più assurda mai prodotta dal discusso gruppo di Las Vegas. Fin dagli inizi mi sono sempre mostrato critico nei loro confronti, ho sempre avuto da ridire sulla loro proposta perché troppo piatta, troppo sprecata, perché non dà valore a suoni ed arrangiamenti; ma qui si tocca proprio il fondo, c’è veramente poco di musicale, se forse sembrava che potessero salvarsi dalla corrente qua si sono definitivamente fatti risucchiare, e chi potrà mai tirarli su ora?!
Canzoni urlate, ritornelli iperpompati, inni spaccacasse, strumenti che manco si sentono, praticamente hanno seguito ciecamente il paradigma della “musica” commerciale odierna, se prima cercavano almeno di elevarsi quel tanto che basta qui no. Sembrano proprio non volerne sapere di fare le cose per bene… tanto vendono un casino, le tette ai concerti le tipe le tirano fuori, che je’ frega de tutto il resto... Neanche quando potrebbe esserci del potenziale o qualche idea buona si sforzano di farla suonare bene, ad esempio in quella specie di reggae-videogame di “Gods Don’t Pray”. Hanno provato forse a fare i seri in “In Your Corner”, dove hanno fatto sbucare dal terreno degli arrangiamenti d’archi quasi come a voler dire <<guardate che non siamo così scemi e frivoli eh>>. Come buone melodie costruite un pochino meglio possiamo salvare le più posate “Don’t Forget Me” e “Fire in These Hills”, ma resta ancora troppo poco.
La cosa buona è che, quasi consci del fatto che potrebbe trattarsi di un’agonia per molte orecchie, non si dilungano troppo e stoppano il cronometro a soli 28 minuti.
Potrebbe chiudersi qui ogni speranza riposta sugli Imagine Dragons, anche se magari ascolterò comunque quello che verrà, un po’ per tradizione un po’ perché rimane sempre un lumicino di speranza. Però, per carità, nessun paragone con i Coldplay, quelli nell’essere pop hanno sempre mantenuto una certa dignità sonora e offerto pure una serie di perle artistiche non proprio per tutti.
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