La domanda è di quelle che tormentano. Chi diavolo sono gli Imagine Dragons? Una banale pop band che vorrebbe fare di più e non ci riesce o una band con una solidità musicale che si adagia sui propri splendenti allori? Ho cominciato a seguirli dal loro primo album invogliato da un amico che non penso abbia un grande senso estetico musicale (anche se sono riuscito a fargli apprezzare i Dream Theater) e poi non ho smesso (solitamente quando mi avventuro in una band poi non smetto di seguirla). Diciamo che il più delle volte mi sono sembrati appartenenti alla seconda categoria, ma il dubbio che invece appartengano alla prima aleggia sempre, in diversi momenti mi sono sentito sul punto di essere realista ed ammettere che sono una pop band prescindibilissima. Quando li ho visti dal vivo a Rho nel 2018 mi sono tuttavia sembrati più o meno seri, più o meno musicisti, tanto da chiedermi cosa potrebbero essere se mettessero nel cassetto le proprie ambizioni monetarie.

“Mercury - Act 1” mi aveva fatto vedere una luce, era un album suonato meglio del solito e pure ben prodotto, aveva un suono in buona parte dignitoso, non suonava piatto, la band sembrava davvero essersi incanalata nel binario giusto pur mantenendo un’impostazione pop, era un album insolitamente delicato ed intimista che voleva dimostrarci che gli Imagine Dragons sanno anche prendersi seriamente, sembrava l’album della maturità, della band che da adolescente scanzonata diventa adulta. E questo secondo atto uscito a meno di un anno di distanza? Eeeeeh… Diciamo alti e bassi, uno slalom fra brani solidi e a volte persino di alto livello e pop di scarsa fattura con arrangiamenti piuttosto scarni; la cosa strana è che fra i due tipi di composizioni c’è un divario mica da ridere, nel senso che i brani più pop sono i più scarni e banali mai composti mentre alcuni di quelli più intimisti e raffinati sono fra i più fini mai realizzati dal gruppo, a quel punto viene davvero da domandarsi dove questi ragazzi vogliano davvero andare a parare e cosa vogliano essere; sembrano quasi indecisi, facciamo i poppettari del cazzo che così ci vengono appresso bordate di fighe o facciamo i musicisti seri? Quando si calano nella canzone pop la fanno suonare pop al massimo, anzi, non la fanno nemmeno suonare, la fanno pompare, diventano anche loro protagonisti di questa repubblica del rumore che dura ormai da una bella trentina d’anni, non parliamo di suonare perché non c’è nulla di strumentalmente rilevante, viene da chiedersi cosa ci sia da ascoltare qui; quando invece decidono di fare sul serio lo fanno quasi per davvero, con gran classe si avventurano nella musica acustica di stampo cantautorale, nell’orchestrale con buon livello di eleganza e a voler essere azzardati persino nel blues e nel soul. Inutile dire che la cosa ti fa incazzare non poco, perché finisci per domandarti quale specie di mostro (magari non troppo cattivo, non esaltiamoli troppo ora eh) potrebbero essere se lasciassero perdere guadagni e visualizzazioni e pensassero soltanto a dare il 100%. Diciamo che sono un po’ come il Bologna negli anni di Guidolin o il Chievo di Delneri, squadre magari non da scudetto ma da zona coppe che però si accontentavano di poco perché il loro allenatore continuava a menarla che “l’obiettivo resta la salvezza”; solo che se questi continuano a seguire il vento che tira andrà a finire che ne verranno inevitabilmente risucchiati, diventeranno una pop band davvero scialbissima e retrocederanno in Serie B, se non più giù.

Il mio consiglio agli Imagine Dragons è semplice e diretto, anche se non so se mi ascolteranno: dato che ormai i soldi ce li avete potete benissimo smettere di essere la band da Spotify o YouTube che siete e concentrarvi a 360° sulla musica vera. O forse sono io che mi incaponisco su di loro e che continuo a dar loro credito e fiducia?

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