Ho sempre sognato un disco folk che durasse 75 minuti. Non che manchino lavori dei Current 93 capaci di sfiorare un elevato minutaggio, ma le sgraziate e sbilenche evoluzioni vocali del sempre ottimo David Tibet importunano troppo spesso, scartavetrandole, le orecchie, quanto invece richiederei qualcosa di maggiormente fluido, vellutato, carezzevole.

Ecco che mi viene in soccorso questo splendido “The Twin Trees” di un artista che, non so perché, riesce a rapirmi ogni qualvolta io mi imbatta nella sua musica, fin dalle primissime note, e così per tutto il tempo che resta: B'eirth ha il dono di saper comporre musica semplice eppur coinvolgente, firmare brani lunghi, ma mai prolissi, composizioni uniformi e non dissimili fra loro, ma il cui succedersi non provoca mai noia e sfinimento nell'animo dell'ascoltatore.

"The Twin Trees”, scritto fra il 1994 e il 1996, pubblicato nel 1997 e riedito più recentemente con l'aggiunta della splendida “Still Water Bonne” (risalente al medesimo periodo e quindi perfettamente incastonata nell'insieme), riesce nell'intento di cullare ed ammaliare i sensi di colui che è in cerca di quiete e relax, ed è disposto a calarsi dolcemente fra le braccia di un folk magico ed ancestrale, onirico potremmo aggiungere, che ama tingersi talvolta di una psichedelia mistica, senza mai scivolare nell'orrido.

La musica di B'eirth ha il pregio di saper scorrere, fluire, scivolare senza intoppi né strappi, e ciò non equivale a dire che il suo sia un folk minimale: B'eirth è infatti un abile polistrumentista, si fa carico di un'enormità di strumenti, a corda, a fiato, percussioni di ogni tipo e quant'altro possa essere pescato dalla tradizione folcloristica popolare. Come se non bastasse, si fa accompagnare per l'occasione da una miriade di amici: un inanellarsi senza soluzione di continuità di preziosismi vocali e strumentali, di contributi che piovono copiosi andando ad arricchire di infinite sfumature una musica che pur nella sua coralità non odora mai di baracconata. Brani appena sussurrati, piacevolmente interminabili che galleggiano per molto tempo prima di sfumare in intermezzi bucolici che echeggiano feste e banchetti musicali testimonianti il passaggio di menestrelli e saltimbanchi, artisti di strada che sostano lungo la loro via, ristorandosi della musica più soave che vi sia.

"The Twin Trees” ritrae in tenui colori una musica che non ha fretta, che fugge la frenesia dei tempi moderni per ritagliarsi uno spazio nella nostalgia di epoche lontane in cui il ticchettare delle lancette di un orologio non dettava ancora l'esistenza dell'uomo. Come sul placido fluire di un fiume, le composizioni galleggiano dolcemente, procedono adagio, sanno indugiare per molti minuti prima che i fragili vocalizzi di B'eirth, spesso accompagnati dai canti da usignolo delle varie Melinda Dawn, Lisa Olivia e Mary Land, confluiscano nella corrente di un'orchestra della natura fatta di chitarre acustiche, flauti, trombe, fisarmoniche, campanelli e soffici percussioni. Nella parte centrale si registra una propensione all'abbandono mistico, allo svanire in sfocate visioni richiamanti una fosca liturgia di inni pagani (“By Moss Strand and Waterspathe”) celebranti la bellezza, l'armonia e la maestosità del mondo e della natura. Brani dal fascino immortale, che affondano le radici in dimensioni al di fuori del tempo, in cui ogni brano riluce di una bellezza che rasenta l'Universale, ed ogni brano è parte indissolubile di un unico, intenso viaggio. Difficile citare un episodio piuttosto che un altro in questo dolce naufragare, ma se proprio devo fare un nome, indico il sortilegio che si compie nella splendida “Cupped Hands Spell”, quasi cashiana nel suo vagar solitario per lande incontaminate, rinvigorita da leggiadre tinte epiche: un capolavoro assoluto di arte trovatoriale.

Lasciatevi dunque rapire dalle confortevoli spire del passato.

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