Gli In Lingua Mortua decidono fin da subito di tenere fede al proprio nome componendo un disco di puro Black Sinfonico, sotto-genere quanto mai morto nell'affollato panorama del metal estremo: scioltisi gli Emperor, approdati ad altri lidi Nokturnal Mortuum, Dimmu Borgir e Cradle Of Filth, finiti in un cul de sac creativo i grandi Arcturus, non rimangono molti tra i nomi che portarono il Black sinfonico ai vertici della seconda metà degli anni '90.
L'orgia di popolarità che queste sonorità iniziarono ad avere circa dieci anni fa con i primi lavori degli Emperor (e sul versante commerciale con "Enthrone Darkness Triunphant" dei Dimmu Borgir e con "Dusk... And Her Embrice" dei Cradle Of Filth) è andata via via scemando, sviluppandosi la convinzione secondo cui fosse stato proprio il Black Sinfonico, con i suoi barocchismi e con le sue melodie, ad avere ucciso lo stesso Black Metal.
Con la loro prima uscita i norvegesi In Lingua Morta sembrano avere le carte per porsi sullo stesso livello delle band citate in precedenza, nonostante non si raggiungano ancora picchi tali da poter giustificare un‘apoteosi anticipata; il segreto di una maturità e di una personalità tanto marcate risiedono nella composizione stessa del gruppo, ove convergono membri di Urgehall, Kvist, Asmegin e Ram-Zet, tutte band che più o meno bene hanno segnato il panorama underground scandinavo (al di sotto cioè dei grandi nomi, insieme alle altre cult-band). Suoni e parole si mescolano in modo significativo nell'opera dei norvegesi; nonostante la mancanza dei testi possiamo farci un'idea convincente delle liriche attraverso le interviste della band: secondo le stesse dichiarazioni del gruppo le principali influenze della band sono state l'Inferno di Dante, l'Odissea di "Omero" e l'immaginario del progressive più decadente, in particolare Van der Graaf Generator di Pawn Hearts.
Il tema della tempesta ricorre spesso nell'immaginario del gruppo, dal titolo alle influenze citate: e la musica sembra ricalcare alla perfezione quest'idea. I versi danteschi in cui Ulisse affonda con la sua ciurma al largo del monte del Purgatorio vanno fondendosi con le raffiche di chitarra e batteria, creando un clima di continua tensione e moto: l'alternanza di parti veloci e di break melodici sembra poi ricreare il continuo ed eterno movimento delle onde, che vanno e vengono all'infinito, squassando le barche, rodendo i corpi dei marinai, che paiono sciogliersi come i golosi danteschi iniziano a liquefarsi nella melma in cui ululano eternamente.
E mentre queste immagini letterarie si insinuano nella nostra mente le orecchie hanno comunque il modo di gustarsi un disco abile nel destreggiarsi tra sonorità spesso molto diverse. "Awe And Terror" può essere presa come prova di questa attitudine variegata alla composizione: gli ILM fondono in modo convincente tutte le influenze citate sopra; il senso di Caos e terremoto che si avverte è quello dei migliori Emperor, seppur in chiave meno cacofonica, mentre sul versante melodico i rimandi a Cradle Of Filth e Dimmu Borgir sono evidenti, senza cadere nel plagio e nel commerciale.
Infine l'estro ricorda da vicino quello degli Arcturus: partiture sinfoniche, medievali, spaziali e jazzistiche si incrociano con i riff tipicamente black metal, creando un impasto personale e riuscito, anche se ancora si devono eliminare alcuni difetti che portano il suono ad essere eccessivamente stratificato e ricco.
Il mio consiglio è quello di andare all'indirizzo www.inlingamortua.com/music ed ascoltarsi alcuni pezzi del disco, soprattutto per il buon Vincent, che ama queste sonorità sinfoniche.
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