"Waiting For The Dawn", aspettando l'alba: mi piace pensare che questo titolo sia nato spontaneamente durante le registrazioni del disco che avvenivano sempre in tarda serata per lasciare spazio ad altre band ritenute più promettenti...
Eppure, nonostante la mancanza d'interesse degli studio, questo gruppo di ragazzi accostatosi alla musica in modo ludico si è ben presto reso conto che la loro intesa avrebbe potuto trasmettere molto anche agli altri, iniziando una strada che li ha portati, partendo da una prima versione del disco in questione quasi inascoltabile, a suonare insieme alle più grandi band metal di sempre. La triste verità, però, è che dopo questo disco qualche ingranaggio nel meccanismo ineccepibile del loro far musica è venuto meno, e si trattava evidentemente di un ingranaggio portante, ovvero Yiannis Papanikolaou, il quale dopo aver firmato i testi ed averli cantati, ha avuto la brillante idea di abbandonare il gruppo per dedicarsi alla fede e ritirarsi in un monastero. Decisione forse discutibile, ma l'importante è che sia riuscito a lasciare il segno in un disco innovativo e conservatore che non ha ancora incontrato tutto il dovuto riconoscimento.
Inutile dire che la versione rimasterizzata del disco ha portato dei miglioramente abissali, sebbene la qualità sonora in alcuni passaggi resti rimaneggiata. A compensazione di questo il disco si propone in una particolare amalgama tra heavy metal ottantiano e power metal, dove delle due la prima componente è quella che risalta maggiormente.
Già da "Spacerunner" ci rendiamo conto dell'intraprendenza di manovra da parte dei due chitarristi, superiore nell'andamento rispetto alle linee vocali, che in compenso esaltano il colore è l'estensione dell'impeccabile Papanikolaou, con i ruoli che s'invertono in "Lord Of Trurh", dov'è il bassista Leventeris a dettare il tempo.
Con "Beyond my soul" gli InnerWish iniziano a fare veramente sul serio, preparando la strada per "Last Thing I'll Remember", un lento alla maniera di Scorpions e Bonfire; solo esponenzialmente più bello per interazione tra chitarra e basso e voce, sebbene anche le strofe giochino un ruolo importante, lasciando vagheggiare chi l'ascolta con un misto di malinconia e speranza, e dove ritroviamo anche uno degli assoli di chitarra più riusciti del disco, senza mai strafare.
Il disco recupera poi un andamento molto Heavy-oriented che non offusca le modulazioni vocali sempre melodiche e accattivanti al massimo livello neanche con le repentine sfuriate di chitarra e gli assoli a dire il vero non molto originali. "Have you ever", il pezzo più mielato del lotto, evidenzia alcune difficoltà nella pronuncia, ponendo un quesito circa la loro intenzionalità o meno, data la funzionalità sul piano della rima. La traccia conclusiva, "Nightfall", inizialmente non presente nel disco, assieme al fatto che la ristampa credo comprendesse un numero limitato di copie, sono un altro motivo per accaparrarsene una senza pensarci su più di tanto.
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