Mancavano solo gli Integrity per completare il quadrumvirato Metalcore degli anni novanta.

Ed allora devastiamoci a dovere, con una doverosa precisazione che fornirò nel mio scrivere; band di Cleveland, Ohio, fondata nel 1988 dal padre-padrone Dwid Hellion. Ancora una volta il disco è prodotto dalla "Victory Records", label che ha come logo un bulldog inglese: un biglietto da visita che non lascia dubbi sulla pesantezza di quasi tutto l'album.

Lavoro che si divide in due distinte parti, anche come personale giudizio.

La prima parte, fino alla traccia numero dieci, autentica manna dal cielo per chi predilige certe malvagità: una possente ed abnorme valanga di fango che ricorda in certe parti rallentate i Bolt Thrower e la loro immane potenza epico-guerresca. Qualità di registrazione così "densa" da mettere in risalto le urla infernali del leader, con quella sua voce da persona scuoiata e messa sulla graticola. Brani come l'opener "2000" e le successive "Never Surrender" e "Falling Away" danno consistenza al mio bavoso argomentare. Una progressione caotica senza fine; un incubo da massimo dei voti.

L'undicesimo brano "Eighteen.99" è una spiazzante sorpresa che ancora rientra nel positivo giudizio del lavoro: cinque minuti Folk-Rock, con delle chitarre acustico-psichedeliche e delle percussioni tribali che mai mi sarei aspettato dagli Integrity. Di algida e solenne bellezza.

Ed arriviamo al pattume conclusivo: ventisette minuti, quasi equamente divisi in due canzoni, di Techno-Thrash elettronico con infiniti campionamenti buttati li a caso che mi costringono al pollice verso senza nessun ripensamento. Nemmeno i titoli dei brani voglio riportare; poche altre volte ho ascoltato della musica così inutile e dannosa. Come se il buon Dwid, prendendo spunto dall'immagine di copertina, si fosse fumato del tutto il cervello. Una stella, regalata, proprio per non dare ZERO.

Se non fosse per questo finale sconcertante il mio giudizio di "Integrity 2000" sarebbe da cinque stelle.

Ed invece...

Ad Maiora.

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