Se "Void" era paragonabile al pelo rossiccio di una volpe attenta "Prehistoricisms" è l'incarnazione di un australopiteco immortale che gironzola per la terra da molto tempo. Si capisce già dalla copertina che la ricerca del suono proviene dal passato roccioso, rupestre e leggendario.

Questa perla è fuoriuscita dalla mescolanza di 4 menti geniali direttamente dalla California, precisamente il secondo album degli "Intronaut", del 2008.

La pittura rupestre illustra un death metal con moltissime influenze jazz, progressive, afro e shoegaze. In una intervista al leder del gruppo ho letto che loro prendono ispirazione dalle band più impensabili, quelle che non ci azzeccano niente. Forse è vero, ma come suono e distorsione stiamo su un Meshuggah molto carnoso e grasso. Come vi ho accennato poco fa l'album è ricco di elementi vari. Si parte da un basso che è ultramolleggiato, probabilmente ispirato ai buon vecchi Death, Cynic e in particolare al mitico Sean Maolone. Le chitarre elettriche sono ben disposte, non ci sono assoli, ma le ritmiche sono da capogiro. La voce è di un growl abbastanza comune anche se non orecchiabile. La batteria perde il suo ruolo, nel senso buono, infatti si dovrebbe parlare di percussioni varie, per questo parlo anche di afro. In oltre per tutto l'album si estendono strutture invalicabili, a cadenza irregolare, per questo lo definisco anche un buon progressive death metal. Ci sono brevi e lunghi spezzoni tipicamente jazz, anche il tribale è all'ordine della canzone.

"Prehistoricisms" è un tuffo nel passato e nelle antiche ere, ve ne accorgerete dei titoli, dalle musiche e dai testi per quei pochi che li leggeranno.

L'album si apre con "Primordial Soup" una strumentale di poco più un minuto, ma molto interessante e soprattutto sognatrice, basti pensare al titolo "brodo primordiale". Sfortunatamente la prima volta che l'ho ascoltata mi è venuto subito in mente "Vacant" dei Dream Theater... Plagio? Non penso, ma io intanto penso...

E ci si aggancia subito alla seconda e cruenta "The Literal Black Cloud". Una canzone che secondo me non rispecchia per niente i canoni dell'album. In definitiva una buone deathsong con un buon basso e distorsione.

E' il momento di "Cavernous Den Of Shame", probabilmente la più veloce di tutte. Verso metà ci sono degli spezzoni egregissimi di jazz e shoegaze. Ottima song.

La title track "Prehistoricisms" non è che mi sia piaciuta tanto ma tutto il death non mi è mai piaciuto tanto. Una canzone media per un album medio.

E da qui si iniziano a sparare robe di alto calibro: "Any Port" è una delle colonne portanti di questo lavoro. Ottime ritmiche, ottimi ritornelli e ottime linee di baso. Tutto normale o meglio ancora se non fosse per gli ultimi 3 minuti che fanno slittare la canzone da "Buona" a "Stratosferica". Dopo un serpeggiare tra basso in primo piano e chitarre fumatrici raggiungiamo la vetta con uno dei pochissimi assoli di batteria di tutto il metal, ben 3 minuti di batti e controbatti a 4 mani ragazzi!!!! Non 2, ma ben 4!!!! Passando per le vie più tortuose del tribale. Da ascoltare assolutamente (spero di riuscirvi ad allegare questi 3 minuti, anche se non è permesso più di 30 secondi).

E subito questo metà sprint ci rimbocchiamo le maniche per "Sundial" che è di dolce gradimento, con una batteria ben sviluppata. Verso la fine si apre un giretto molto caleidoscopico: se in "Any Port" la batteria chiude in bellezza qui è il basso a essere il protagonista indiscusso. Tante, ma tante pizzicate. Da ascoltare anche questa.

"Australopithecus" è una buona apocalittica, con un intermezzo ripreso soprattutto dalle vecchie ballad targate Opeth. Molto bella.

E si finisce con la suite da 16 minuti "The Reptilian Brain". Armoniche, bassi molleggiati, percussioni struggenti, mamma mia ragazzi è un crescendo radiale di energia. Si passa dallo shoegaze al tribale al jazz fino a un death estremamente ragionato. Strumentale finale eccellente.

Ho letto anche i testi che come mi aspettavo parlano di cose preistoriche, sensi della vita arcaici. Più o meno tutte sullo stesso livello, ma l'eccezione sta proprio in questo: perché l'ultima traccia strumentale che poco fa vi ho nominato è una fonte di pensiero. Ho sprecato più tempo a riflettere su questa che a tutto il restante album. Si perché "The Reptilian Brain" significa letteralmente "cervello reptiliano", e qui mi sono partite tante di quelle casciette che non vi immaginate. Si perché seguendo le varie sezioni della suite:

I. Sleep

II. Eat

III. Shit

IV. Fight

V. Fuck

Le casciette mentali sono d'obbligo. Tutta la suite si può interpretare come l'evoluzione della mente di un rettile: se non lo sapete i rettili sono la famiglia più vecchia in assoluta, che è sopravvissuta  ad ogni cataclisma, in assoluto le forme di vita terresti predominanti... cosa non da poco!

All'inizio niente. Dormire;

Mano a mano crescere. Mangiare;

Poi emettere scorie. M***a appunto;

Lottare con i cataclismi e l'uomo in particolare. Lottare; e infine tutto si distrugge a vicenda ma le armoniche si ripresentano, simbolo di vita rettile. E quindi fottono decisamente tutti riniziando il giro.

Ma questa mattina ho avuto un trauma, ho letto su internet che il "cervello rettiliano" non è altro che la zona più importante del cervello mammifero, dietro alla nuca, dove è presente tutto il sistema nervoso insieme a tutti i comportamenti istintivi come il sopravvivere, cercare, uccidere, impegnarsi, ... E qui mi sono tirato la zappa sui piedi per tutto il pomeriggio. Non sono riuscito a pensare a nessun altra cosa.

Mi sono scordato di dirvi che l'album dura 53 minuti, non male per 8 canzoni.

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