Oltre 40 anni di carriera e non sentirli. Gli IQ tornano a distanza di 6 anni con il loro dodicesimo album e fanno ancora il botto. Si dice che il tempo possa scalfire la creatività e invece questa storica band inglese ha offerto il meglio della propria ispirazione proprio nelle produzioni più recenti (benché la prolificità non sia di quelle cosmiche, con attese anche di 5 anni fra un lavoro e l’altro). Erano reduci da due lavori (doppi) davvero incredibili, in cui si eccelleva a livello di spunti e idee, qualsiasi potesse essere la forma di questo nuovo lavoro era in ogni caso inevitabile il paragone con i due predecessori.
“Dominion” è sì un tantino inferiore ai due lavori precedenti, era quasi inevitabile che lo fosse, non si può essere incredibili per sempre, ma si difende benissimo, il livello compositivo e di ispirazione resta assolutamente alto. Il mood oscuro, notturno e a tratti inquieto dei precedenti lavori permane anche se un po’ meno pronunciato, più levigato. Stavolta agli IQ basta un solo disco, anzi, bastano solo 5 composizioni per mostrarsi in tutte le loro sfaccettature, ognuna delle composizioni ha una sua caratteristica specifica e risulta allo stesso tempo coerente con la linea del disco.
“The Unknown Door” è la suite dell’album, un viaggio perfetto di 22 minuti fra oscurità e bagliori di luce. Non è dotata di un dinamismo ritmico notevole, anzi è forse la sua andatura regolare e scorrevole a fornire il viaggio notturno perfetto, ma ciò nonostante riesce a scivolare perfettamente senza stancare; anche perché non manca la varietà, c’è un po’ tutto ciò che serve per fare una grande composizione degli IQ, ci sono le parti lente e riflessive, le parti acustiche, gli organi suggestivi, i synth brillanti, le chitarre lievemente spigolose, le aperture dal sapore cinematografico; la ventata di freschezza però la offrono i lunghi loop elettronici che interessano la prima parte della composizione, che si inseriscono bene nel tessuto, rendono inquietante il viaggio e non suonano mai uguali; e aggiungerei menzione speciale anche per quelle lievi parti percussionistiche che spuntano nella lenta parte iniziale.
“One of Us” è la ballata del disco, breve e acustica. Piazzarla lì con la sua brevissima durata immediatamente dopo la suite è un rischio, è facile che ne esca schiacciata, sovrastata, sminuita, ma ciò non succede, perché gli IQ usano la maestria giusta per renderla una grande composizione nella sua piccolezza. A dire il vero è piuttosto insolita per gli IQ, quei fraseggi da chitarrista unplugged che maneggia lo strumento seduto su uno sgabello non sono esattamente tipici per gli IQ, che hanno sempre evitato questo tipo di composizioni, qua invece vogliono fare eccezione e ci riescono benissimo, lo fanno senza snaturarsi, suonando comunque pienamente IQ, mantenendo il mood atmosferico e sofferto e senza andare a naufragare in uno scontato folk o nella composizione sdolcinata da falò in spiaggia.
E altrettanta maestria viene usata per confezionare il brano sulla carta più semplice e rilassato, “No Dominion”. È indubbio che sia il brano più leggero del lotto (non a caso è stato scelto come singolo di lancio) ma nella sua semplicità non si piega ad esigenze di mercato e risponde pienamente alle esigenze dell’album, grazie alle sue tastiere frastornanti che creano ancora una volta un’atmosfera notturna ma di un blu luminoso e vivace.
“Far from Here” invece fa del grandioso crescendo il suo punto di forza. La parte iniziale è il momento più dark dell’intero album, con quei campanelli in stile horror, poi si prende la scena la chitarra con i suoi riff ispidi, il ritmo cresce, entrano in scena assoli e ancora una volta pungenti loop elettronici, il tutto si risolve nel rilassatissimo finale d’atmosfera. È un brano che forse si poteva sviluppare meglio, forse il potenziale era più alto del risultato finale, ma non credo sia il caso di fare troppo gli schizzinosi.
“Never Land” è praticamente un’incursione nell’ambient, nella musica d’atmosfera, ed è quasi spudorata, gran parte di essa la potrebbe tranquillamente aver composta un compositore ambient e non sfigurerebbe in una compilation del genere. La melodia posatissima e timidamente brillante, gli strani suoni e riverberi che sembrano provenire da abissi immensi e non troppo lontani, le linee di basso morbide e accarezzanti, ci sono tutte; poi il brano si fa più vivace e melodico, in un certo senso meno ermetico e più accessibile, alla stregua di quanto accaduto già in brani come “Closer” e “Ocean” (i suoi parenti più stretti), ma mantenendo il suo mood rilassato.
Concludendo dico che “Dominion” non sarà un “The Road of Bones” o un “Resistance” il paragone è troppo scomodo e rischia seriamente di sminuire questo lavoro, meglio evitarlo in toto, ma consegna ancora una volta gli IQ alla storia e li riconferma nuovamente i re contrastati ma sempre saldamente al comando del neo-prog. Sì, più dei Marillion!
Carico i commenti... con calma