In attività da quasi mezzo secolo, gli Iron rappresentano una band diventata ormai iconica, e in tutti questi anni hanno effettuato numerosi cambiamenti all'interno della loro line-up. Vera e propria anima del gruppo è sempre stato il bassista Steve Harris, fondatore della band nel 1975 e sempre presente fino ad oggi. Con questa mia recensione vado a commentare il loro primo album, che prende lo stesso nome della band, rilasciato nel 1980 dopo non poche difficoltà economiche ed organizzative, in un'epoca in cui la realtà UK premiava soprattutto il movimento punk. La casa discografica EMI si decise un bel giorno a produrre questo disco, e si può dire mai scelta fu più azzeccata; rimane a mio modesto parere il punto più alto mai raggiunto dai Maiden, nonostante poi si parli di una band dalla carriera strepitosa, che ha raggiunto una popolarità sconfinata in tutti gli angoli del globo, ma a mio avviso, nonostante autentiche pietre miliari rilasciate negli anni successivi (per esempio "The number of the beast", "Somewhere in time" più tanti altri capolavori) il livello più alto questi ragazzi british lo raggiungono proprio al loro esordio. Vero è che poi negli anni avranno un ruolo da grandi protagonisti il cantante Bruce Dickinson (che rileverà un Paul Di'Anno forse non completamente funzionale al project sound dei Maiden) e il chitarrista Adrian Smith. Questa prima loro fatica, comunque, si adatta perfettamente al timbro vocale più soft e classy di Di'Anno rispetto a quello di Dickinson, e si rileverà come un'autentica bomba detonata nel panorama metal internazionale, ho un po' la sensazione di un'energia tenuta imprigionata per 5 lunghi anni e che poi finalmente viene rilasciata in questo "Iron Maiden".
Questi 40 minuti scarsi vanno ingoiati in un colpo solo, godendosi melodie, cambi di ritmo, energia pura, la sapiente regia di Harris al basso tira le fila e si fa sentire, le varie tracce scorrono che è un piacere...la prima (saranno 8 in Europa, 9 in America grazie alla bonus track "Sanctuary") è "Prowler", con intro in guitar solo che sfocia in un ritmo accattivante e ben sostenuto, segue "Remember Tomorrow", struggente ballata che cambia di ritmo (come spesso succederà nel corso dell'intero album) velocizzandosi e portandosi così alla emozionante conclusione; "Running Free", inno alla libertà, vede la intro a cura del drummer Clive Burr, che dal quarto disco in poi verrà rimpiazzato dall'amico Nicko McBrain, nelle prime intenzioni solo temporaneamente, poi definitivamente. Burr avrà tragico destino che lo vedrà trovare la morte appena 56enne, dopo lunga malattia, con crudele coincidenzea della stessa età in cui morì il padre. Quarta song di questo esaltante disco è "Phantom of the opera", forse la canzone più bella mai uscita dalla mente dei Maiden, ispirata all'omonimo film, in questa canzone da segnalare oltre alla meravigliosa melodia anche l'assolo di chitarra veramente sublime; emozionante, interminabile, vorresti non finisse mai. Segue la strumentale "Transylvanya", unico pezzo forse non completamente all'altezza del grande livello del resto del disco, si passa poi a "Strange world", geniale ballata scritta da Harris, molto coinvolgente, in cui lo stesso Steve vede un mondo immaginario. Si riparte a razzo con "Charlotte the Harlot", eseguita in modo impeccabile e molto accattivante a velocità parecchio sostenuta, con assoli di chitarre sempre graffianti e puntuali che si affiancano perfettamente alle melodie di Di'Anno; ultima la title track, che non abbandonerà mai i Maiden in tutta la loro interminabile carriera in ogni live performance, diventandone una delle canzoni in assoluto più rappresentative della loro gloriosa storia. Concludendo, questo disco a mio avviso è un must have per tutti gli appassionati di metal, e non solo; personalmente vorrei dedicare questa recensione a Paul Di'Anno, che proprio oggi ci ha lasciati, RIP grande Paul, e che tu possa correre libero come hai tu stesso cantato migliaia di volte.
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